Culture

I marmi del Partenone sono pronti per tornare in patria (forse)

Nell’800 Lord Elgin li prelevò e li portò in Inghilterra, dove furono acquistati dal British Museum. Ora - riporta il Telegraph - i due Paesi trattano per la restituzione. O meglio: per un “prestito a lungo termine”
Credit: EPA/FACUNDO ARRIZABALAGA
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11 gennaio 2023 Aggiornato alle 15:45

Riusciranno i preziosi marmi del Partenone a rientrate in patria, lì dove sono stati creati? Forse. Infatti, per la prima volta, Londra sembra essere d’accordo a un “prestito a lungo termine”.

Partiamo dalle origini della storia, in questa vicenda che attraversa trasversalmente millenni di storia e vede protagonisti i marmi del Partenone dell’Acropoli di Atene, patrimonio dell’Unesco dal 1987. Del resto, la questione relativa alla restituzione delle bellezze artistiche non è nuova.

Dopo la vittoria di Atene contro i Persiani, nel 479 a.C., Pericle decise di investire il denaro pubblico nella ricostruzione dei monumenti distrutti, in uno stile ancora più grandioso che mostrasse la potenza e la ricchezza di Atene. Furono eretti i nuovi templi sull’Acropoli e il più importante doveva essere quello dedicato ad Atena, la dea protettrice della città: il Partenone.

Fidia, sommo scultore dell’epoca, coordinò i lavori di un progetto unitario e ideò i gruppi scultorei decorativi, tutti realizzati in marmo pentelico, celebre materiale usato per la statuaria e architettura greca che con il tempo, esposto agli agenti atmosferici, assume una patina calda e dorata che caratterizza le opere di quel tempo.

Il Partenone sopravvisse, quasi intatto, a diverse vicende fino al XVII secolo quando gli ottomani, che nel mentre avevano conquistato Atene, nascosero delle munizioni all’interno del tempio sperando che i veneziani, contro cui erano in guerra, non lo attaccassero per rispetto di un monumento che nel tempo era stato anche una chiesa.

Ma i bombardamenti ci furono e fu distrutta la parte centrale del tempio anche se gran parte delle sculture dei frontoni era comunque rimasta al proprio posto sino all’arrivo di Lord Elgin, l’ambasciatore britannico Thomas Bruce più noto come Conte di Elgin, che ad inizio ‘800 fece rimuovere i fregi e le sculture dei frontoni per “garantirne la conservazione”: furono rimossi 39 metope, 56 rilievi del fregio e 17 statue dei frontoni.

I marmi salparono per l’Inghilterra e dopo un soggiorno nella residenza privata del diplomatico furono acquistati dal British Museum nel 1816 ed esposti nella Sala Elgin: da quel momento i marmi del Partenone divennero i Marmi Elgin. Lì rimasero sino al 1939, anno di completamento dell’ambiente appositamente creato per i marmi, dove ancora oggi si possono ammirare nella The Duveen Gallery del museo londinese.

Dalla fine dell’800, però, ad Atene esiste il Museo dell’Acropoli: un piccola struttura - certamente non degna di uno dei siti archeologici più famosi al mondo - rimasta tale fino al nuovo millennio e accusata di essere una delle apparenti cause del mancato rientro in Patria dei marmi del Partenone.

Nel 2007 è stato inaugurato il nuovo Museo che sorge ai piedi dell’Acropoli. Un museo progettato dall’architetto Bernard Tschumi in gruppo con lo studio greco di Michael Photidis: progettato su resti archeologici, che sono stati inglobati nella struttura, si sviluppa su più piani offrendo un percorso di visita che attraversa secoli di storia. All’esterno i piani sembrano mattoncini lego impilati l’uno sull’altro a eccezione dell’ultimo, interamente vetrato, che è ruotato in un’altra posizione. Certamente ora un luogo degno di ospitare i marmi è stato creato.

Si entra nel museo percorrendo una rampa in salita che ripropone le suggestioni vissute dai visitatori che si dirigono verso l’Acropoli arroccata. Si giunge all’ultimo piano interamente vetrato e orientato, planimetricamente, nella stessa posizione del Partenone. Qui l’esperienza è magnifica: da un lato, oltre le vetrate, si staglia l’Acropoli, dall’altro, su strutture leggerissime, sollevati da terra riproponendo la loro disposizione originale, trovano spazio i marmi del Partenone, o meglio le loro copie.

Copie che, se anche possono essere realizzate sfruttando la tecnologia, come proposto dal’ Insitute for digital archeology – Ida di Oxford, che vuole ricreare copie dei marmi del Partenone usando robot scultori dall’azienda di Carrara Robotor, resteranno sempre delle repliche.

Nadine Gordimer, premio Nobel per la Letteratura nel 1991, nella prefazione del libro I marmi del Partenone di Christopher Hitchens (Fazi Editore,156 pagine, 20 euro) scrive: “La restituzione dei capitoli di marmo della narrazione del fregio del Partenone da parte del British Museum sarebbe una conquista per la Grecia e l’umanità intera”.

Secondo il Telegraph, si sarebbe trovata una formula che permetterebbe il prestito a lungo termine di parte dei Marmi da spedire a rotazione in Grecia in cambio di altre antichità da esporre contestualmente a Londra. Si parla di prestito e non di riconsegna perché una legge inglese del 1963 vieta al muso di disfarsi di tesori culturali: quindi la soluzione è un prestito, o meglio uno scambio. Questo ovviamente non piace alla Grecia che dovrebbe ammettere la proprietà dei beni a un altro Stato per accettarne il prestito.

Alcuni esponenti del mondo accademico si sono subito ribellati: «Un accordo simile fa comodo ai britannici - ha spiegato il Professore di archeologia Yannis Hamilakis, dal momento che - non riconosce che i reperti sono prodotto di sottrazione di tipo coloniale».

La Grecia mantiene quindi la sua posizione, forte anche delle scelte di Papa Francesco di restituire nel 2022 dei frammenti del Partenone conservati per secoli nei Musei Vaticani e di altri musei americani che hanno rimpatriato altre opere sottratte surrettiziamente in passato.

La pressione internazionale cresce ma la questione delle Elgin Marbles - come la chiamano gli inglesi- sembra destinata a continuare e forse a diventare un boomerang negativo per la ri-elezione del Premier greco Mitsotakis che ora non pare aver raggiunto la svolta nella questione.

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