Futuro

Il robot dei marmi apocrifi

A Carrara, un istituto di Oxford vuole utilizzare un braccio meccanico-scultore per clonare i marmi del Partenone conservati al British Museum e restituire gli originali ad Atene
Alla TorArt, azienda di Carrara specializzata nel campo della scultura robotica, un braccio meccanico sta modellando un cavallo del fregio che all'inizio dell'800 lo scozzese Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, strappò dal tempio di Atena sull'Acropoli. Reclamati dalla Grecia, i rilievi sono a Londra dal 1817
Alla TorArt, azienda di Carrara specializzata nel campo della scultura robotica, un braccio meccanico sta modellando un cavallo del fregio che all'inizio dell'800 lo scozzese Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, strappò dal tempio di Atena sull'Acropoli. Reclamati dalla Grecia, i rilievi sono a Londra dal 1817 Credit: ANSA/UFFICIO STAMPA
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
14 luglio 2022 Aggiornato alle 15:00

Per l’Italia è la Gioconda di Leonardo da Vinci che dal Rinascimento dimora in Francia, per la Grecia sono i marmi del Partenone del V secolo a.C., che nel 1817 furono trafugati dall’Acropoli di Atene e trasferiti al British Museum per mano del diplomatico Thomas Bruce, conte di Elgin, e per questo noti anche come marmi di Elgin.

Le reazioni a quest’atto di spoliazione, com’è facile intuire, non furono entusiaste. Nel 1811 George Byron scagliò La maledizione di Minerva contro la «preda derubata» e, ancora, a maggio di quest’anno la ministra greca della Cultura e dello Sport Lina Mendoni si è espressa con parole che sembrano il verbale di una sentenza: «Lord Elgin ha usato mezzi illeciti e iniqui per sequestrare ed esportare le sculture del Partenone, senza un reale permesso legale per farlo, in un palese atto di furto seriale», ha dichiarato.

A favore della restituzione si espresse perfino l’ex premier inglese Boris Johnson, salvo poi, da dissidente di professione, smentire se stesso e sostenere il “remain” in polemica col “monument man” George Clooney.

Oltremanica, però, c’è chi la pensa diversamente. «Siamo aperti a esplorare qualsiasi potenziale prestito con il riconoscimento formale del titolo del prestatore sugli oggetti e l’impegno a restituire gli oggetti come precondizione standard», ha affermato un portavoce del British Museum.

La questione resta aperta, e i marmi, come si addice al materiale, sembrano inamovibili. Ma ora tra i 2 contendenti si mette di mezzo il 3D. L’Istituto per l’archeologia digitale (Ida - Oxford), infatti, vuole ricreare copie esatte delle statue attraverso l’ausilio di robot all’avanguardia made in Italy.

A progettarli è l’azienda di Carrara Robotor, fondata nel 2019 dagli imprenditori Giacomo Massari e Filippo Tincolini come costola operativa di Tor Art, società specializzata nell’applicazione di nuove tecnologie per la lavorazione del marmo impiegato nell’arte e nel design.

«Quando due persone vogliono entrambe la stessa torta, cuocere una seconda torta identica è una soluzione ovvia», ha dichiarato al New York Times il direttore esecutivo dell’Ida Roger Michel, che ha ribadito come «il nostro unico scopo è incoraggiare il rimpatrio dei marmi di Elgin».

Il robot-scultore si è già esercitato con la riproduzione dell’Arco monumentale di Palmira, a nord della Siria, distrutto dalle milizie dell’Isis nell’ottobre 2015, ma a marzo il British Museum ha negato all’Istituto di Oxford il permesso di scansionare un pezzo della collezione custodito nella Duveen Gallery.

Per tutta risposta Michel e Alexy Karenowska, il direttore tecnico dell’Istituto, si sono ripresentati armati di iPhone e iPad e hanno portato a termine la scansione affermando che le linee guida del British Museum «autorizzano chiaramente» l’uso di software 3D per l’acquisizione di immagini.

Così il 29 giugno il braccio meccanico del robot ha iniziato a intagliare il marmo pentelico nel laboratorio toscano ai piedi delle Alpi Apuane, realizzando due modelli di una testa di cavallo che dovrebbero essere completati entro la fine di luglio al termine della fase di rifinitura.

«Le nostre repliche avranno un certo grado di ripristino del colore, in particolare le tonalità della pelle», ha affermato Michel, che vuole eseguire la verniciatura a mano così da «immunizzare» le copie dalle possibili riserve da parte della critica accademica.

Ma qualcuno ha già da ridire. «Esattamente chi sta chiedendo questa replica? Quali sono le implicazioni politiche?», si è domandata l’esperta di archeologia digitale e patrimonio presso l’Università di York Colleen Morgan. «Quando gli artefatti diventano simboli del nazionalismo e del potere statale - ha aggiunto - dobbiamo stare molto attenti alle persone con e per le quali stiamo lavorando e allo scopo per cui lo stiamo facendo».

Per quanto identici nella forma, inoltre, i marmi clonati rappresenterebbero pur sempre una copia, e secondo gli addetti ai lavori è improbabile che il British Museum accetti degli esemplari apocrifi dopo le resistenze mostrate finora.

«È difficile immaginare che chiunque voglia che i marmi rimangano al British Museum sarà soddisfatto di qualcosa prodotto in parte dai robot quando gli originali rappresentano per loro il culmine dell’arte umana», sostiene la classicista britannica Daisy Dunn.

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