Diritti

Regno Unito: cosa sta succedendo?

La stampa italiana praticamente non ne parla, ma la crisi economica sta mettendo in ginocchio la popolazione d’Oltremanica. Perché le politiche conservatrici e sovraniste generano povertà
Credit: Clem Onojeghuo/unsplash
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7 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Nel linguaggio militare, la fog of war (“nebbia di guerra”) è quel fenomeno che rende difficile capire cosa succede nei luoghi dov’è in corso un conflitto. Le informazioni sono frammentate, incomplete a volte oscurate. Succede per l’Ucraina, ovviamente, ma succede, in modo diverso, anche per la situazione nel Regno Unito, della quale in Italia non si sta parlando affatto, ed è difficile spiegarsi perché.

L’economia britannica sta soffrendo moltissimo, e questa sofferenza riverbera in maniera sensibile ed evidente sulle persone. L’inflazione, e il conseguente aumento dei prezzi dei beni di consumo, spinge i cittadini a spendere meno. L’aumento del prezzo del gas costringe le famiglie a scegliere fra il cibo e le bollette. I dirigenti scolastici avvertono che un numero sempre crescente di bambini va a scuola senza avere mangiato, con gli insegnanti che portano tostapane in classe per fare in modo che gli alunni non svengano per la fame (il Guardian traccia un ritratto straziante di una situazione già di per sé oltraggiosa). A questo quadro, già di per sé tragico, si aggiungono notizie ancora più inquietanti su famiglie del Galles ridotte a scaldare i pasti sui termosifoni o con le candele, o addirittura a nutrirsi con il cibo per animali.

La crisi scatenata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina si sovrappone all’effetto destabilizzante dell’uscita dall’Unione europea, o Brexit, come è stata chiamata. Un’uscita decretata dal referendum del 2016 con cui gli abitanti del Regno Unito (con l’eccezione di Londra e della Scozia) hanno deciso di lasciare l’Unione con l’obiettivo di “riprendersi il controllo”, e ignorando sia di avere un confine di terra con la suddetta unione, sia che il confine in questione è fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, e che quella scissione territoriale ha causato morte, lutto e dolore per tutti gli anni dei Troubles.

Boris Johnson ha vinto il suo secondo mandato elettorale con lo slogan Get Brexit Done, “Facciamo la Brexit”, proprio sulla scorta dell’impazienza dei cittadini britannici rispetto alla lentezza con cui Theresa May stava gestendo una situazione molto più complessa di quanto fosse stato fatto intendere. Il risultato è stato un accordo a dir poco pasticciato, che taglia fuori il Regno Unito dalla collaborazione diretta con i suoi partner commerciali più vicini e che non teneva conto della possibilità di altri fattori di destabilizzazione. Una mentalità imperiale per un impero che non c’è più, e per un Commonwealth che si va disintegrando con grande rapidità, in proporzione a quanto il discorso sul colonialismo si sta rafforzando nel discorso politico globale.

La fine del lungo regno di Elisabetta II sta marcando la fine di un tempo psicologico: la morte della regina ha infranto l’ultima illusione di unità, e la mancanza di carisma del suo successore sta facendo venire meno anche le ultime protezioni e complicità della stampa. Pochi giorni fa, Lady Susan Hussey – dama di compagnia della regina Elisabetta e madrina di battesimo del principe William – è stata allontanata da palazzo dopo essersi resa protagonista di un episodio di razzismo ai danni di Ngozi Fulani, direttrice dell’associazione Sistah Space. E in questi giorni, Keir Starmer – leader del partito Laburista – ha proposto di abolire il diritto di nascita nella composizione della Camera dei Lord, facendola diventare un organo elettivo al pari della Camera dei Comuni.

Di tutto questo non c’è praticamente traccia nei media italiani, che tradizionalmente si occupano molto più di politica interna che di politica estera: e le due cose potrebbero non essere scollegate. Il cosiddetto “honeymoon period” del governo con gli elettori potrebbe avere una durata molto più breve, se le conseguenze di politiche conservatrici e sovraniste sulla popolazione avessero più visibilità. Quello che sta succedendo nel Regno Unito non è una coincidenza, non è sfortuna: è il risultato di una serie di scelte sbagliate, dell’incapacità della classe dirigente Tory di gestirne le conseguenze, dell’inadeguatezza e impreparazione della stessa classe dirigente, frutto di una selezione incestuosa che premia la lealtà a scapito della competenza. Ministri e ministre che si distinguono per disumanità e mancanza di scrupoli, primi ministri (e prime ministre) incompetenti e privi del minimo sindacale del carisma.

Ripensandoci, non mi sembra troppo strano che in Italia se ne parli poco, dato che al momento la comunicazione politica di Meloni si sta concentrando sulle agendine da adolescenti per provare a buttarla in simpatia, e come distrazione dalle decisioni insensate del suo governo (dalle politiche improvvisate sui pagamenti all’annunciato taglio di 500.000 euro annui dal budget della didattica per finanziare lo staff del ministero dell’Istruzione: un po’ alla faccia del Merito, lo possiamo dire?) Boris Johnson faceva il gaglioffo, si presentava spettinato come uno che bada pochissimo alla forma e molto alla sostanza (e invece c’era poco di una e dell’altra). Meloni sta tentando di attenuare l’immagine cupa e violenta che ha costruito in campagna elettorale con i suoi interventi ai comizi dei partiti di estrema destra europei, e ripete di continuo che il suo governo sta dando prova di “serietà”, ma le illusioni non durano per sempre. E prima o poi la realtà presenta il conto.

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