Diritti

Liz Truss, la camaleonte

La nuova Prima Ministra del Regno Unito è la terza nella storia del Paese. Ma la sua nomina non è “una vittoria per le donne”
Liz Truss dopo l'annuncio della sua vittoria al Queen Elizabeth II Centre di Londra, il 5 settembre 2022
Liz Truss dopo l'annuncio della sua vittoria al Queen Elizabeth II Centre di Londra, il 5 settembre 2022 Credit: EPA/NEIL HALL
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7 settembre 2022 Aggiornato alle 06:30

La notizia non sembra avere esattamente dominato i media italiani, ma insomma, il Regno Unito ha una nuova Prima Ministra. Si chiama Liz Truss e nel governo Johnson era Foreign Secretary, insomma, Ministra degli Esteri. È solo la terza donna a ricoprire l’incarico, o già la terza, a seconda delle prospettive: in senso assoluto, tre donne in tutta la storia di un Paese dal suffragio femminile in poi sono pochine, soprattutto se per la gran parte del tempo quel Paese è stato sotto la guida della stessa regina. Rispetto all’Italia, Paese in cui le donne di spessore non sono mai mancate, tre donne a capo del governo sono tre più di quelle che abbiamo avuto noi.

Se di Liz Truss non sappiamo granché è perché non c’è granché da sapere. Nel servizio immediatamente successivo alla proclamazione della sua vittoria contro l’avversario Rishi Sunak, Bianca Nobilo di CNN l’ha definita una political chameleon, un modo diplomatico per dire che Truss è riuscita a salire di grado cambiando le sue posizioni a seconda della comodità e della necessità di stringere alleanze. Una tecnica consolidata, e non solo per lei: non c’è motivo di giudicarla meglio o peggio dei colleghi che hanno fatto altrettanto, ma allo stesso modo è difficile intravedere in lei un’idea politica coerente o una visione di lungo periodo. Di sicuro le piace travestirsi da Margaret Thatcher, ma proprio in senso letterale.

All’università la giovane Liz, che viene da una famiglia borghese che lei ha collocato “a sinistra dei Laburisti”, militava nei Liberal Democrats e difendeva la legalizzazione della cannabis e l’abolizione della monarchia. Errori di gioventù, si potrebbe dire, anche se è difficile immaginarsi come si possa gridare “Abolish them!” senza esserne profondamente convinte. Del resto, Truss è la stessa che ha detto di essere stata in gioventù una “eco-warrior – bisogna capirla, erano gli anni ’90, eravamo tutti ambientalisti – pur essendo a favore delle trivellazioni e del fracking, una delle tecniche di estrazione delle risorse naturali a più alto impatto per l’ambiente, e avendo votato contro ogni misura volta a facilitare la conversione ecologica. Se i riferimenti alla gioventù fossero troppo deboli, c’è sempre il clamoroso voltafaccia sulla Brexit: da Remainer a Leaver nello spazio di pochi mesi, perché, dice “ha intravisto le opportunità” di questa scelta collettiva. Tu pensa che coincidenza.

Oratrice mediocre, Truss è famosa in patria per un discorso ai limiti del surreale alla Conferenza dei Conservatori del 2014, in cui tesse le lodi del cibo nazionale e accenna con sgomento all’eccessiva importazione di formaggio, a suo dire “una vergogna”. Anche il suo discorso di accettazione della carica di leader del partito Conservatore, avvenuta al termine di un processo di selezione non proprio rappresentativo dell’elettorato, è stato goffo e ripetitivo. Truss non sembra avere molto da dire, e spesso quando lo dice è la cosa sbagliata. È successo non più tardi del 22 agosto scorso, quando durante un dibattito le è stato chiesto di pronunciarsi su Emmanuel Macron: amico o nemico? La risposta: “The jury’s still out”, la giuria sta deliberando. Per fortuna i francesi sembravano essere al corrente dell’abitudine di Truss di rivolgersi implicitamente all’elettorato più sciovinista, e Macron le ha già fatto le sue congratulazioni per il nuovo incarico.

Potremmo continuare a oltranza, perché Truss, come il dimissionario Boris Johnson, è un generatore automatico di gaffe. Non sono invece gaffe, ma posizioni politiche precise, la sua opposizione al riconoscimento dei diritti delle persone trans, mutuata direttamente dalle teorie feroci delle femministe trans-escludenti (“Le donne trans non sono donne”), i suoi voti contro il controllo degli affitti, l’aumento dei sussidi per chi è in difficoltà economica e l’abolizione o la limitazione delle rette universitarie. Truss non si è pronunciata sulla questione del rovesciamento della sentenza Roe v Wade negli Stati Uniti, e nel periodo in cui era ministra per le Donne e le Pari Opportunità i casi di violenza contro le donne sono aumentati, mentre sono diminuite le denunce.

L’avevamo già detto quando Roberta Metsola è stata nominata Presidente del Parlamento Europeo e lo diciamo di nuovo: le donne bianche (bionde) e conservatrici avranno sempre una corsia preferenziale, e dobbiamo smettere di considerare i loro avanzamenti di carriera come una vittoria per le donne. Liz Truss, come altre prima di lei – inclusa Thatcher, che le piacesse o meno – hanno beneficiato del lavoro dei femminismi senza avervi contribuito, perché si inseriscono nel solco scavato con fatica dalle lotte delle donne che le hanno precedute ma non portano avanti il lavoro. Tutto si riduce alla loro vittoria individuale, una vittoria che lascia intatte le strutture di potere ed è per questo gradevole e gradita per un sistema che non tollera la dissidenza o il pensiero critico. Truss è l’ultima di una serie, una delle meno interessanti o rimarchevoli, un’opportunista che è stata in grado di giocare secondo le regole come e quanto il suo sfidante diretto, e secondo quelle regole ha vinto. Ricordiamocelo, quando ci verrà voglia di cercare il lato positivo nella probabile vittoria di Meloni alle elezioni del 25 settembre.

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