Ambiente

Dopo il greenwashing, il green hush

Sempre più spesso le aziende (quasi 1 su 4) non diffondono i propri piani ambientali per evitare pressioni esterne. Questo, però, non aiuta nella sfida all’emergenza climatica
Credit: Kartik Kacha
Tempo di lettura 4 min lettura
2 gennaio 2023 Aggiornato alle 11:00

Si annunciano percorsi climatici per raggiungere le zero emissioni, si promettono prodotti totalmente verdi o sostenibili, si mostra in pubblico il lato ambientale dell’azienda ma poi, quando è tempo di rendere conto di quanto promesso, si resta in silenzio.

Come sappiamo uno dei problemi più difficili da contrastare nell’ultimo decennio è il greenwashing, che si concretizza con false operazioni volte a mostrare un presunto lato verde che in realtà non esiste.

Il Pianeta ci chiede un cambiamento e moltissime aziende oggi, sotto la pressione di consumatori e attivisti, sono chiamate a dar conto delle loro credenziali ecologiche e a diffondere modalità e andamento dei piani verdi. Una pressione che talvolta può influire sulle vendite o sulla reputazione e così spesso, per strategia o paura, le aziende finiscono per rimanere in silenzio sui dettagli del loro impegno ecologico.

Questo fenomeno sempre più diffuso si chiama greenhushing. Sul tema di recente ha indagato anche Eco-Business, che ha provato a saperne di più su una controllata del gruppo Alibaba, Lazada. Diversi attivisti l’hanno accusata di greenwashing per la promozione di prodotti verdi che poi non si sono rivelati tali e la questione ha innescato svariate conseguenze tra cui l’addio silenzioso del capo della sostenibilità e lo stop alle comunicazioni sugli sforzi ecologici. Alla richiesta di un commento, la società ha risposto con il silenzio.

Sul tema, il rapporto di South Pole Net Zero and Beyond: A Deep-dive on Climate Leaders and What’s Driving Them mostra come fra tante aziende che si dicono attente ad ambiente e clima, alla fine una su quattro non intende parlarne. In questo modo è più complesso valutarne gli obiettivi climatici, oppure conoscere l’andamento degli impegni dichiarati.

Allo stesso tempo secondo South Pole nell’ultimo anno tre quarti di tutte le aziende intervistate hanno aumentato i loro budget per l’azzeramento delle emissioni. Su 1200, tutte con obiettivi di riduzione delle emissioni, diverse hanno però deciso di non pubblicare o diffondere i propri piani ambientali. «Le aziende orientate alla sostenibilità supportano sempre più i loro obiettivi con tappe di riduzione delle emissioni basate sulla scienza, il che è assolutamente l’approccio giusto. Ma se oggi un quarto di esse non fornisce dettagli su ciò che rende credibile il proprio obiettivo, è possibile che si stia diffondendo un silenzio climatico aziendale», ha spiegato Renat Heuberger, CEO di South Pole.

«L’azione aziendale per il clima è un ingrediente necessario e gradito per rallentare la crisi climatica. Se un maggior numero di aziende si mette in prima linea parlando apertamente dei propri obiettivi, ciò spronerà le molte altre che devono ancora fissare obiettivi aziendali, possibilmente allineati con la scienza» ha aggiunto Renée Morin, Chief Sustainability Officer di eBay.

D’altra parte, le aziende che tentano di sviluppare piani sostenibili, dichiarano che le pressioni e le tempistiche con cui i consumatori o gli ambientalisti chiedono un cambiamento spesso sono difficili da sostenere. Il tutto, con lo spettro di sentirsi additati all’improvviso di greenwashing: accuse che se da un lato potrebbe spingere le stesse ad alzare il livello di sostenibilità, dall’altro se non fondate o strutturate secondo alcuni osservatori rischiano di far deragliare i programmi di sostenibilità.

In generale viene però riconosciuto come invece del silenzio, sia una maggiore trasparenza sulle sfide dell’attuazione degli obiettivi verdi ad aprire la strada a comunicazioni di sostenibilità più credibili (e a portare a un minor numero di accuse di greenwashing).

Nel frattempo, tutte le società e le imprese sono chiamate a una generale spinta nell’annunciare piani climatici dettagliati e nel rispettarli: un principio che dovrebbe valere anche per gli Stati, come ricordato alla Cop27, nei quali l‘Onu ha diffuso le sue regole anti greenwashing.

A chiedere maggiori informazioni sui rischi e sulle pratiche di greenwashing nei settori bancario, assicurativo e dei mercati finanziari, sono oggi anche le autorità di vigilanza europee (EBA, EIOPA ed ESMA – ESA) che hanno da poco annunciato proprio una Call for Evidence sul greenwashing nel Vecchio Continente.

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