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Cop27: la cura per il Pianeta malato è ancora lontana?

Bene l’avvio di un fondo loss and damage, male per la lotta alle emissioni e le strategie contro il fossile. Ecco cosa è stato deciso alla Conferenza sul Clima di Sharm El-Sheikh
Credit: Christophe Gateau/dpa
Tempo di lettura 7 min lettura
21 novembre 2022 Aggiornato alle 13:15

Immaginiamola così: la Terra si è ammalata di crisi climatica e i popoli del mondo, riuniti alla Cop27, per ora hanno deciso di curarla con antidolorifici (fondo perdite e danni) anziché un vaccino (lotta concreta alle emissioni).

La difficoltà di stabilire “come è andata questa Cop27?” sta tutta dal punto di vista con cui la si osserva. Sappiamo bene che il mondo è diviso economicamente mentre la salute del Pianeta, in cui tutto è connesso, ha lo stesso tragico problema del surriscaldamento. Se dunque osserviamo i risultati finali della Conferenza delle parti sul clima di Sharm El-Sheikh indossando gli occhiali del futuro del Pianeta, allora c’è poco da festeggiare: si è mantenuto l’impegno di contenere le temperature entro +1,5 gradi (che comunque probabilmente sforeremo) ma le azioni intraprese per abbassare le emissioni sono insufficienti.

I Paesi economicamente più sviluppati non hanno infatti preso un impegno concreto per uscire davvero dall’era dei combustibili fossili, dall’oil and gas per intenderci. Anzi, quelli ospitanti come l’Egitto hanno perfino guadagnato nuovi contratti e assicurazioni di poter ancora sfruttare il gas. Se però guardiamo alle conclusioni della Cop27 indossando i panni dei paesi più poveri e vulnerabili – conclusioni arrivate in ritardo dopo giorni e notti di drammatici negoziati – allora c’è una lieve speranza: il fatto che sia stato raggiunto un primo accordo per inserire negli impegni la questione loss and damage, un fondo per risarcire i Paesi meno abbienti e martoriati dalla crisi del clima, è uno spartiacque, un riconoscimento concreto delle differenze, dell’impatto delle emissioni, della necessità di aiuti. Un primo passo di qualcosa che appare ancora lontano mentre il tempo stringe.

Loss and damage

Per la prima volta infatti l’assemblea plenaria ha deciso per l’istituzione di un fondo per i ristori delle perdite e dei danni del cambiamento climatico. Non era scontato: la pressione degli attivisti e dei leader dei Paesi meno abbienti ha portato a casa questo successo su cui si è giocata buona parte della conferenza. Non sono state definite ancora questioni chiare su “chi paga e chi riceve”, ma si è dato il via al processo che passerà per l’istituzione di un Comitato transitorio il quale dovrà preparare un progetto da presentare alla prossima Cop28 nel 2023 per l’avvio operativo del fondo.

Interessante è notare che la maggioranza dei membri di questo Comitato (14 su 24) saranno rappresentati di Paesi insulari e africani, tra quelli più concretamente oggi impattati dalla crisi. In questa fase transitoria hanno la chance di arrivare a proporre, alla prossima Cop28 a Dubai, uno strumento fattibile per far funzionare il fondo su perdite e danni. Non è cosa da poco, dato che finora non si era mai affrontata la questione, ma per avere concrete speranze servirebbero posizioni più nette (anche economicamente) delle grandi potenze, come la Cina.

Dalla battaglia sul loss and damage sono poi nate nuove valutazioni ed esigenze che saranno oggetto già il prossimo anno di possibili rivoluzioni: la più importante è la necessità di rivedere e ridiscutere – forse dalla prossima primavera – il ruolo della Banca Mondiale e del Fondo Monetario internazionale, con la possibilità che si dia il via alla riforma del sistema finanziario globale per mobilitare fondi e volumi necessari al clima.

Interessante sarà capire come si svilupperà la proposta Alleanza Bridgetown avanzata dalle Barbados di Mia Mottley, appoggiata dalla Francia. Chiave è anche un altro concetto: in questo contesto rientrerà sempre di più anche la questione dei migranti climatici che, avvertono i paesi più colpiti, di questo passo potrebbero diventare 1 miliardo entro metà secolo.

Mitigazione

Se ci sono stati passi avanti per mantenere i pilastri dell’Accordo di Parigi, altri sono stati fatti indietro sulla “mitigazione”, impegni e azioni per ridurre le emissioni climalteranti. Sappiamo che le emissioni legate ai combustibili fossili sono la prima fonte del surriscaldamento della Terra: eppure non si è arrivati a definire l’addio concreto a questa fonte inquinante.

A perdere è dunque il futuro del Pianeta, mentre a vincere è il presente: le pressioni legate alla crisi energetica e i conflitti non hanno permesso un road map chiara per liberarci dal fossile e al contrario hanno rimarcato l’intenzione di voler puntare a esempio sul gas come energia di transizione, agevolando ancora accordi economici fra grandi potenze e a esempio Africa (vedi Egitto), tutte basate sul gas.

Sì, si è parlato e inserito anche un passaggio relativo alle energie rinnovabili, ma appare poca cosa rispetto a quanto sarebbe servito per una rivoluzione basata sull’energia pulita, mentre per ora ci limitiamo a rimarcare solo una idea di futuro con “energie a basse emissioni”. Preoccupa poi il fatto che non ci siano stati passi avanti rispetto al vertice scozzese dello scorso anno: si continua a parlare di phase down dal carbone senza però definire il phase out

Finanza

Sebbene sia avanzata l’idea di un fondo loss and damage, sui famosi finanziamenti da 100 miliardi di dollari l’anno (dai Paesi più ricchi a quelli più colpiti) necessari per aiutare gli stati vulnerabili nemmeno alla Cop27 sono arrivate certezze. Sì, alcuni singoli Stati hanno fatto promesse di risorse “milionarie”, ma si è ancora lontanissimi da quanto servirebbe: almeno 4.000 miliardi di dollari per tentare – anche con adeguamenti tecnologici – di restare in linea verso le zero emissioni nel 2050. Miliardi che, propongono delegazioni di paesi meno abbienti, potrebbero iniziare ad arrivare se solo si cominciassero a tassare gli extraprofitti (ad esempio del 10%) delle aziende di oil and gas nel mondo.

Ipotesi che non rientra minimamente nell’accordo dopo quasi 2 settimane in cui i padiglioni di Sharm El-Sheikh, per paradosso, hanno invece visto la presenza di oltre 600 lobbisti dell’oil and gas, il 25% in più rispetto alla conferenza del 2021 a Glasgow.

Anche in questa chiave, o perlomeno in quella della finanza necessaria per stabilire fondi, ci si aspettavano risposte dai vari piani nazionali dei Paesi (NDC): soltanto 33 su 200 sono però stati presentati, rimandando ancora una volta “al futuro”

Italia

In tutto questo che partita ha giocato l’Italia? Di sicuro in panchina (o forse tribuna), dal punto di vista di proposte, decisioni o impegno. L’Italia dei vertici di governo si è messa in coda all’Ue, senza mai giocare davvero (a differenza di Francia, Germania o altri), ma semplicemente facendo presenza: la toccata e fuga di Giorgia Meloni dopo il bilaterale con Al-Sisi per parlare anche di accordi commerciali, oppure le poche ore passate a Cop del ministro dell’Ambiente e la sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin sono apparse come un segnale di distanza all’interno degli sforzi necessari per la lotta al surriscaldamento. Va detto però che è comprensibile, visto il nuovo ruolo assunto da sole poche settimane, una certa “lontananza” per esempio da parte del ministro.

Di positivo si registra comunque l’istituzione del Fondo italiano per il clima (840 milioni all’anno per 5 anni), il ruolo attento e costante dell’inviato speciale per il clima, Alessandro Modiano, e lo sforzo con cui think tank, associazioni o delegati vari hanno affrontato con costanza e determinazione le trattative della Cop27 (su tutti Ecco e Italian Climate Network)

Biodiversità

Infine, se da una parte ci sono stati applausi e persino grida di gioia per l’intervento del neo presidente del Brasile Lula che ha promesso di difendere in ogni modo le foreste dell’Amazzonia, dall’altra sulla crisi della biodiversità e della natura nel testo finale della Cop27 mancano purtroppo specifici riferimenti su come affrontarla.

La speranza è che arrivino indicazioni precise e vincolanti da Cop15 di Montréal dei prossimi giorni, dedicata alla biodiversità: senza paletti chiari per proteggere, conservare, ripristinare e utilizzare in maniera consapevole natura e ecosistemi naturali, il futuro sarà sempre più nero.

Gli antidolorifici potrebbero distrarci per un po’ dal problema, ma poi senza cura reale per la febbre del Pianeta rischieremo di accorgerci all’improvviso che sarà davvero troppo tardi.

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