Diritti

Violenza: quanto pesa la dimensione economica?

Come può una donna essere libera senza l’indipendenza finanziaria? In Italia una su tre non ha un conto in banca. E poi, anche il “mito dell’amore romantico”…
Credit: Anna Shevchuk/pexels

Nella settimana del 25 novembre, giornata ormai ovunque celebrata contro la violenza sulle donne, è importante mettere l’attenzione anche su fattori economici e culturali che creano un ambiente a essa favorevole.

Per esempio, la violenza economica, un tipo di violenza diversa, ma legata a quella domestica in senso stretto. Colpisce, proprio come quella fisica, donne di ogni ceto sociale, perché si basa, fondamentalmente, sulla diseguaglianza e sulla disparità di forze economiche.

D’altronde, nel nostro Paese lavorano 4 donne su 10, 1 donna su 3 non ha il suo conto in banca, l’importo delle pensioni maschili è il doppio di quelle femminili: dati che già esprimono una situazione di sottomissione della donna, che è economica e insieme psicologica, con conseguenze negative persino nelle coppie che più si amano. Figuriamoci in chi non si ama più, in chi vuole – spesso la donna – separarsi, ma ha timore di restare senza mezzi.

Come potrà una donna essere davvero libera se deve restare sotto il tetto coniugale forzatamente, o se ha timore di andarsene perché non saprebbe come fare? In un contesto simile è facile che si sviluppi violenza. E allora la parità di reddito, sicuramente, è un argine a una violenza, anche se da sola non basta.

Il nuovo - e confusivo - mito dell’amore romantico

C’è poi un secondo fattore, più culturale, che favorisce la violenza domestica. Ed è quello che alcune autrici femministe, come Jessa Crispin, chiamano il “mito dell’amore romantico”, un nuovo mito di amore romantico. Purtroppo, per quanto moderna e digitale, la nostra società non sembra offrire alla donna strade alternative al matrimonio tradizionale.

Abbiamo smantellato, dice la critica inglese, quelle strutture comunitarie che ci sembravano oppressive, ma senza costruire vere alternative di welfare e di condivisione che non siano solo la famiglia nucleare. Così, spesso le donne, confuse dal mito romantico, convinte che senza matrimonio e figli - ancora oggi - sarebbero poco più che nulla, si sposano con uomini che conoscono poco o rispetto alle cui carenze sono pronte a chiudere un occhio, quasi che il carattere concreto della persona con cui ti sposi fosse secondario proprio rispetto al sogno romantico. Sogno che, appunto, rischia di infrangersi magari dopo qualche anno, magari generando violenza da parte maschile, una tragedia che aumenta esponenzialmente quando ci sono dei figli.

E se la famiglia monogamica non proteggesse le donne?

È possibile, dunque, che la famiglia monogamica, specie se poi la donna non è neanche pari all’uomo economicamente parlando, non tuteli per nulla la donna dalla violenza. Di fatto, in essa non ci sono altri che l’uomo e la donna e, se il primo diventa violento, sarà tutto a carico della seconda, anche il dover dimostrare che il compagno o marito è violento. In altre società, in altri tipi di famiglia allargate, la vicinanza di altre persone rappresentava un punto di osservazione in più, un controllo maggiore e, forse, una maggiore protezione. Vale per le donne, vale per i bambini.

Tornare indietro forse non si può, anzi semmai dalla famiglia monogamica si passa a quella monogamica separata: per certi versi ancora peggiore per entrambi, ma soprattutto per le donna che si trova un carico enorme e ancora meno soldi, oltre a essere esposta all’eventuale vendetta di chi - come molti uomini, intrisi di maschilismo patriarcale - non riesce ad accettare la separazione.

Ovviamente, in un contesto di violenza la separazione immediata e il trasferimento in un posto sicuro sarebbe l’unica protezione possibile. Ma molto si può fare in senso preventivo: sicuramente ciò che serve è un’educazione radicale e strutturale alle ragazze perché capiscano l’importanza di una indipendenza economica. Anche se questo, purtroppo, nel nostro Paese può significare dover rinunciare ad avere figli perché, parliamoci chiaro, l’indipendenza economica arriva spesso - se arriva - a quarant’anni. Così che molte donne sono costrette ad avere figli con un lavoro precario, instabile, mal pagato.

Un’educazione sentimentale per le ragazze

Per quanto possa essere doloroso rinunciare, o rimandare, il sogno romantico di un matrimonio con figli è altrettanto fondamentale non dimenticare che qualsiasi relazione può sempre finire e dover dipendere, dopo, da un uomo che come minimo non ti ama ma può anche odiarti, è una delle condizioni più penose che esistano.

Inoltre, andrebbe fatta soprattutto alle ragazze un’educazione sentimentale affinché, mentre da un lato si aprano ai migliori sentimenti di tenerezza, accoglienza e condivisione dell’altro, dall’altro non confondano questo con il nuovo mito dell’amore romantico. Quello che, purtroppo, viene continuamente raccontato sui social network dagli influencer, che lo hanno ormai riabilitato, legandolo però soprattutto ai soldi. Con i loro video in cui mostrano i test di gravidanza, gli stadi affittati per il gender reveal, i baby shower sontuosi, i matrimoni in location folli, le foto dei neonati vestiti con le loro collezioni e così via.

Il messaggio di questi nuovi, nocivi testimonial è quello per cui i soldi consentono di avere gravidanze e figli. Compiendo un errore di valutazione, confuse da quella che appare una lussuosa felicità, le ragazze rovesciano il messaggio, pensando che avere figli porti quella felicità e magari quella ricchezza.

I danni degli influencer e il disinvestimento sul lavoro

Quelli degli influencer, ripeto, sono modelli assolutamente nefasti, eppure le adolescenti di oggi ci restano invischiate, anche perché tutto è avvolto, appunto, nella lussuria e nell’abbondanza, rendendo lo scenario suggestivo e attraente oltre misura. Peccato che il 99,99% delle adolescenti non raggiungerà mai quel tenore di vita e, anzi, come mi raccontano madri di ragazzine, proprio quel modello le spinge a non credere così tanto nel lavoro, a disinvestire su un proprio mestiere, sperando in un successo sui social senza fatica e peggiorando così la loro situazione del domani. Rendendole più sottomesse e più esposte a violenza.

Ciò che servirebbe è, ovviamente, una società con stipendi uguali e carriere simili, strumenti di conciliazione veri, un welfare ricco e mirato, tutte cose che sappiamo. Occorrerebbe però anche, ricorda sempre Crispin, una nuova immaginazione. Che possa portare a pensare diverse forme di stare insieme. Più collettive, più condivise. Dove le madri si sentano meno sole. Ma anche dove le donne ancora non sposate si sentano meno sole. E non debbano, per compensare quella solitudine, ricorrere a una falsa idea di amore che, nel caso di un uomo che si rivela violento, si trasformerebbe - come spesso accade - in un inferno.

Troppo spesso ancora accade. Lavorare sulla formazione delle adolescenti, sul loro senso di sicurezza - non tanto un vago self empowerment, né la retorica delle materie stem, ma qualcosa di profondo e duraturo - sarebbe fondamentale perché possano proteggere la loro libertà. Cercando, per quanto possibile in un paese come il nostro, di coniugarla con i propri desideri. E senza dover pagare quei desideri con una vita di oppressione e, talvolta, vera violenza.

Leggi anche
Donne
di Valeria Pantani 5 min lettura
femminicidi
di Giulia Blasi 5 min lettura