Diritti

Mondiali Qatar: le figurine che denunciano le vite perse

Tramite il progetto Cards of Qatar, il sito d’inchiesta svedese Blackspot ha reso omaggio ai tanti lavoratori morti per costruire gli stadi
Credit: cardsofqatar.com
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
16 novembre 2022 Aggiornato alle 12:30

Il fischio d’inizio dei Mondiali in Qatar, i primi della storia a svolgersi in inverno, è ormai vicinissimo. La nostra Nazionale non sarà della competizione ma gli appassionati di calcio, a partire dal 20 novembre, potranno seguire le gesta di alcuni tra i più grandi campioni al mondo, già pronti a sfidarsi in stadi scenografici e ultra moderni.

Impianti sportivi luccicanti da un lato, ma oscuri dall’altro visto che, per la loro costruzione, un numero altissimo - anche se non ben precisato - di persone ha perso la vita a causa di turni impossibili e condizioni di lavoro oltre ogni limite: si parla di almeno 6.500, ma potrebbero essere molte di più e, nonostante il governo qatariota abbia provato in tutti i modi a insabbiare la notizia, sono tanti i media internazionali a essersene occupati.

Tra questi anche la piattaforma svedese d’inchiesta Blackspot, che ha scelto un modo originale per trattare l’argomento: la realizzazione del sito Cards of Qatar, contenente un virtuale album di figurine che a una prima occhiata sembra raffigurare i volti degli idoli del pallone, ma che in realtà ritrae i tanti lavoratori dalla vita sacrificata affinché questi idoli potessero calcare campi verdi costruiti nel deserto.

L’idea di questo progetto-denuncia è merito del giornalista Martin Schibbye, direttore e fondatore di Blackspot, che l’ha poi realizzata grazie a una campagna di crowdfunding e al coinvolgimento di diversi inviati in Nepal, India e Bangladesh, i luoghi dai quali provenivano la maggior parte dei lavoratori. Lì i cronisti Udwab Bhatterai, Somya Lakhani, Muslima Jahan Setu, Mohammed Owasim Uddin Bhuyan hanno raccolto le testimonianze delle famiglie e aiutato nella ricostruzione delle storie di ragazzi morti nel nome di un gioco che gioco non è.

Le figurine virtuali su un lato si presentano in tutto e per tutto simili a quelle dei calciatori con volti immortalati in primo piano, belli e luminosi. Sotto di essi campeggia la bandiera del Paese di appartenenza e a sinistra un numero. Ma le facce non sono di Messi, Mbappé, Benzema o Lewandowski, le Nazioni non corrispondono alle qualificate al torneo e il numero non è quello di maglia, bensì l’età che avevano le persone al momento della morte.

Le cards hanno anche un retro sul quale poche righe raccontano la vita di questi ragazzi, arrivati in Qatar con grandi sogni e la convinzione che lavorare alla costruzione degli stadi potesse rappresentare per loro un’occasione di riscatto sociale. Molti erano partiti da casa alcuni anni fa, poco dopo l’assegnazione del Mondiale al Paese mediorientale. La nomina aveva dato il via a una campagna di reclutamento di manodopera a basso costo nelle zone più povere del mondo, trasformatasi presto in forza lavoro schiavizzata.

Con queste premesse non era difficile immagine che i cantieri delle tante cattedrali nel deserto, il cui utilizzo si concentrerà nel tempo di una partita o poco più, si sarebbero trasformati in cimiteri a cielo aperto, stracolmi di morti poco chiare e tutte tristemente simili perché attribuite a fantomatiche cause naturali.

In alcuni referti si parla di problemi al cuore, in altri all’apparato respiratorio, ma senza mai entrare nel merito o definire colpevoli che non siano il fato o la sfortuna, così da impedire alle famiglie di intentare cause giudiziarie o sperare, almeno, in un risarcimento economico.

La prima fase del progetto è stata virtuale e ha vissuto esclusivamente sul sito ma il team di Blackspot sta lavorando alla stampa delle figurine, da inviare agli sponsor del Mondiale e ai vertici di Fifa. Un segnale indubbiamente importante, che si somma a quello di numerose star che, proprio per protestare contro l’inesistenza di tutele sociali e civili in Qatar, hanno fatto sapere che diserteranno la manifestazione seppur invitati a esibirsi, come Dua Lipa e Rod Steward. O Fiorello, che nelle ultime ore ha criticato la Rai per aver speso milioni per trasmettere le partite.

«Questi lavoratori non sono solo statistiche. Le loro storie devono essere ascoltate», afferma Martin Schibbye, convinto che anche attraverso semplici figurine si possa squarciale il velo di ipocrisia che avvolge il mondo del calcio internazionale e, in particolare, i Mondiali alle porte.

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