Ambiente

Agenda 2030: ultima chiamata per proteggere la biodiversità

Gli obiettivi del programma d’azione Onu si fondano su delicati equilibri ecosistemici. Se non saremo in grado di tutelarli, mineremo le fondamenta del nostro stesso futuro
Credit: Dom Dada/Flickr
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21 novembre 2022 Aggiornato alle 07:00

Approvata nel 2015 da 193 Paesi, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite stabilisce un quadro globale di riferimento finalizzato a guidare l’umanità verso un modello di sviluppo che sia finalmente sostenibile, inclusivo e giusto.

Al suo interno sono elencati 17 obiettivi interconnessi e comuni a tutti i Paesi che affrontano le principali sfide a livello planetario: dalla lotta alla povertà, all’eliminazione della fame, dal cambiamento climatico alla parità di genere, fino alla tutela della vita nel mare e sulla terra.

Ad un primo sguardo, dunque, questo ambizioso quadro programmatico sembra affidare all’uomo il compito di risolvere le crisi che decenni di consumismo sfrenato e lotte di potere hanno creato. Tuttavia, a volerla guardare diversamente, ci si potrebbe accorgere che, in realtà, l’Agenda 2030 contiene al suo interno una richiesta di aiuto rivolta alla biodiversità.

Dopo anni di sensibile miglioramento, a partire dal 2015 il numero di persone in stato di malnutrizione ha ricominciato a crescere raggiungendo la cifra di 690 milioni di persone, pari all’8,9% della popolazione mondiale.

Considerando che tutti sistemi alimentari dipendono dalla biodiversità e dai servizi ecosistemici che, per il solo fatto di esistere, sostengono la produttività agricola, la fertilità del suolo, e il ciclo dell’acqua, è facile comprendere come proteggere la diversità biologica in agricoltura, e garantire ecosistemi sani e funzionali, ci permetterà di raggiungere l’obiettivo di eliminazione della fame nel mondo (Sdg2).

Tra le sfide poste alla comunità internazionale vi è quella di eliminare la povertà energetica (Sdg7), una condizione che, nei paesi in via di sviluppo, riguarda circa un miliardo di persone.

Mentre un ulteriore cifra di 2,7 miliardi è costretta a utilizzare combustibili inquinanti e dannosi per la salute.

Se, per secoli, l’unica risposta sembrava arrivare dai combustibili fossili, ora è alla natura che ci si rivolge in cerca di fonti di ispirazione e… combustione.

Delle 350.000 specie di piante vascolari conosciute, 2.500 sono infatti considerate utili per produrre carburante o bioenergia e, se sfruttate in modo razionale e sostenibile, possono essere un valido supporto per centrare un obiettivo che, complice anche l’aumento dei costi dell’energia, riguarda con sempre maggiore forza anche l’occidente.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’inquinamento atmosferico è la più grande minaccia ambientale per la salute pubblica a livello globale ed è responsabile di circa 7 milioni di morti premature ogni anno. Una situazione che non riguarda solo i Paesi non industrializzati: nel 2019, infatti, il 99% della popolazione mondiale viveva in luoghi in cui non erano rispettati i più severi livelli di qualità dell’aria stabiliti dall’Oms per il 2021 mentre, in Italia, la popolazione è stata esposta a un livello di Pm 2.5 superiore di ben 3.2 volte rispetto a quanto richiesto dalle linee guida dell’organizzazione.

La crisi climatica non fa che aumentare il problema poiché tutti i principali inquinanti hanno un impatto sul clima e la maggior parte di essi ha fonti comuni con i gas serra. A questo si aggiunge il surriscaldamento globale che aumenta la forza e la frequenza degli eventi meteorologici con impatti devastanti soprattutto nei paesi e nelle comunità più vulnerabili. Ecosistemi sani possono aiutare a ridurre l’inquinamento atmosferico e mitigare gli impatti degli eventi estremi (Sdg13), oltre a ridurre il fenomeno delle ondate di calore che, annualmente, sono responsabili di decine di migliaia di morti.

Sono inoltre fondamentali nel garantire il ciclo dell’acqua (Sdg6) e sono una preziosa fonte di sostanze utili alla produzione di medicinali, garantendo un aiuto efficace nel garantire la salute e il benessere a livello globale (Sdg3).

La biodiversità ci fornisce le materie prime con cui ci vestiamo e costruiamo oggetti più o meno indispensabili per le nostre attività quotidiane, comprese le città in cui viviamo.

È infatti un valido aiuto nella costruzione di infrastrutture sicure, economiche e resilienti (Sdg11), oltre che fornire spunti per la definizione di nuovi modelli di produzione (Sdg9), come nel caso dell’economia circolare, o di prodotti innovativi in grado di rivoluzionare svariati settori economici, come quello del tessile e della moda.

La biocouture, ossia la moda realizzata a partire da materiali sostenibili, rappresenta infatti sempre di più un grosso business per molte aziende che stanno lavorando per progettare sistemi ispirati ai cicli biologici e sperimentano l’uso di tessuti provenienti da scarti del legno, della frutta e altri materiali naturali, come la tela di ragno.

Con un mercato internazionale che nel 2019 ha prodotto 92,2 miliardi di dollari (e si stima ne genererà 103,8 entro il 2027), nelle regioni del Pianeta particolarmente ricche di biodiversità, l’ecoturismo può diventare una fonte importante di reddito e di occupazione per le comunità locali, contribuendo a sconfiggere la povertà (Sdg1).

È stato dimostrato, infatti, che a un incremento dell’1% della biodiversità nelle aree protette, frutto di progetti di tutela e conservazione, corrisponda un aumento dello 0,87% nel flusso turistico, con tutto ciò che ne deriva a livello di benessere per il territorio.

Ben 14 su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile sono legati all’esistenza di una biodiversità in salute. Eppure, quasi ironicamente, proprio questi sono ancora tristemente lontani dall’essere raggiunti.

Una situazione che mette in crisi l’intero spettro dell’Agenda 2030, come dimostrato dal fatto che l’80% degli obiettivi legati all’eliminazione della fame e della povertà, alla salute di tutti i popoli, all’accesso all’acqua pulita, alla costruzione di città resilienti e alla tutela di oceano e terra, sono ancora lontani dall’essere conseguiti, con effetti a cascata sugli obiettivi legati alla pace, alla giustizia e alla creazione di una comunità internazionale forte.

Quanto scritto finora dimostra che, così come in natura i fattori biotici e abiotici sono uniti da legami complessi, anche gli obiettivi dell’Agenda 2030 si fondano su delicati equilibri che hanno la biodiversità come fattore persistente e trasversale. Se saremo capaci di tutelarla, continuerà a fornirci cibo, materie prime, acqua e aria. Elementi fondamentali alla nostra sopravvivenza. Ma se non saremo in grado di cogliere la sfida, allora mineremo le fondamenta stessa del nostro futuro.

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