Ambiente

Qualcuno salvi i pesci “brutti”

Uno studio dell’Università di Montpellier ha scoperto che la fauna delle barriere coralline considerata meno bella ha una vita più difficile. Perché non la proteggiamo
Esemplare di Giganturidae.
Esemplare di Giganturidae.
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12 giugno 2022 Aggiornato alle 13:00

Si fa presto a rimanere d’incanto davanti alla reginetta di bellezza dei mari. Chiunque veda il pesce angelo regina, con le sue sfumature blu e gialle, non può che riempirsi gli occhi di meraviglia.

Ma come la mettiamo con chi gli occhi li ha fuori dalle orbite, come il pesce chiamato telescopio, decisamente valutato come “bruttino”?

Nonostante il loro aspetto, ci sono moltissimi pesci considerati “brutti” che hanno un disperato bisogno d’amore. Non solo: la maggior parte di loro sono geneticamente, e anche a livello di evoluzione, molto più interessanti di pesci da colori sfavillanti, che però potrebbero avere un ruolo ecologico meno importante.

Quelli brutti invece, quasi dimenticati, finiscono spesso sia per essere sovrapescati (generano anche meno empatia) sia per essere poco al centro dei programmi di protezione: il risultato è che oggi i pesci come quelli delle barriere coralline che sono meno attraenti sono più a rischio scomparsa.

A rivelarlo è uno studio condotto dal team di Nicolas Mouquet dell’Università di Montpellier. La ricerca sostiene che i pesci della barriera corallina considerati esteticamente più gradevoli, anche se hanno meno bisogno di sforzi di conservazione, sono tutto sommato salvaguardati, mentre i pesci che più probabilmente vengono classificati come “brutti” sono meno protetti e più a minacciati.

«È necessario per noi assicurarci che i nostri pregiudizi estetici non si trasformino in un pregiudizio per lo sforzo di conservazione», ha spiegato l’ecologista Mouquet.

I ricercatori hanno condotto un sondaggio online coinvolgendo 13.000 persone che dovevano valutare l’estetica di alcune specie di pesci raffigurati in 500 foto.

In generale le specie di pesci luminosi, colorati, dal corpo tondo o con particolari disegni sono state valutate come “belle” (ai primi posti proprio il pesce angelo regina). Mentre quelle dallo sguardo “triste”, dagli occhi fuori dalle orbite, o dalle forme inquietanti erano giudicate come brutte e, dai dati incrociati e dalle analisi degli scienziati, anche fra le più minacciate nella Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura.

Nello studio pubblicato su PLOS Biology gli esperti spiegano in sostanza che quelle meno attraenti sono specie più soggette a pesca eccessiva e spesso di maggior interesse commerciale.

«Il nostro studio mette in evidenza probabili importanti discrepanze tra il potenziale sostegno pubblico per la conservazione e le specie che più necessitano di questo sostegno», ha affermato Mouquet ricordando che alcuni pesci poco carini svolgono un ruolo cruciale negli ecosistemi.

«Specie come il pesce pagliaccio e i pesci pappagallo colorati sono sicuramente le più facili con cui le persone si connettono, e ha senso il motivo per cui sono spesso utilizzate come immagine o icone negli sforzi di conservazione. Ma la maggior parte della biodiversità ittica è in realtà composta da specie che non sarebbero considerate esteticamente belle», ha affermato al Guardian Chloe Nash, ricercatrice dell’Università di Chicago non coinvolta nel paper.

Ecco perché dovremmo sempre ricordarci di far diventare emblemi per le future politiche di conservazione e protezione anche pesci diversi da quelli colorati e magnifici che tanto ci ricordano le avventure di Nemo.

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