Ambiente

Dragare sabbia alle Maldive per salvare gli atolli

Innalzamento del livello del mare ed erosione costiera minacciano le isole: al via un piano “olandese” per costruire nuovi terreni. Ma c’è il rischio di impatto ambientale per le barriere coralline
Kudarikilu, Maldive
Kudarikilu, Maldive Credit: Matheen Faiz/Unsplash
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27 maggio 2022 Aggiornato alle 07:00

Il paradiso ha un problema: l’acqua che sale. Se c’è un luogo al mondo dove la crisi climatica sta già impattando profondamente sulla vita delle persone queste sono le isole. Che si tratti di quelle dell’Oceano Indiano o del Pacifico, le condizioni per chi vive in piccoli atolli elevati poco sopra il livello del mare è di un futuro sempre più incerto, dato che il livello dell’acqua del mare - seppur di pochi centimetri - continua costantemente a crescere a causa della crisi climatica e l’innalzamento delle temperature.

La conseguenza è che per coloro che abitano in luoghi dove l’acqua salata potrebbe presto invadere i campi, dove l’erosione ogni giorno si mangia un pezzetto di costa, le alternative sono poche. In Sud Corea stanno già prendendo piede innovative e tecnologiche cittadine galleggianti, come Oceanix a Busan.

A Rotterdam e in Danimarca si sperimentano nuovi modelli di case flottanti, le isole del Pacifico pensano ad affittare terreni in zone più sicure mentre in uno dei Paesi più vulnerabili alla crisi climatica, le Maldive, oltre ad avveniristiche strutture galleggianti si sta cercando la “terra” per ampliarsi e sopravvivere.

Una delle ipotesi rilanciate di recente riguarda l’atollo più meridionale, Addu, un insieme di piccole isole dove oggi vivono quasi 30.000 persone. Anche qui il mare giorno dopo giorno cresce e l’erosione costiera minaccia la costa di un paradiso tra i più soggetti all’emergenza clima.

Per ovviare al rimpicciolimento delle isole dettato dalle erosione il governo delle Maldive è così intenzionato a supportare una nuova operazione, guidata dall’impresa olandese Van Oord, che intende creare 194 ettari di terra dove costruire nuove strutture e tre resort nella zona di Addu City.

Il progetto nasce sia per tentare di stimolare e rilanciare l’economia locale, ma anche per comprovare l’idea di soluzioni che affrontino il problema dell’innalzamento del mare. Stimato tra i 150 e i 200 milioni di dollari e finanziato da una banca indiana, l’operazione prevede di bonificare dei terreni e proteggere le coste usando sabbia dragata da una laguna locale: in questo modo si potrebbe fornire il “suolo” necessario.

Il problema, ricordano diversi attivisti, sta nel fatto che questo controverso sistema utilizzerebbe sedimenti presi da una laguna che, una volta dragati e spostati, potrebbero finire per “soffocare gli ecosistemi” di quella che è una riserva della biosfera dell’Unesco. Il piano ipotizza di dragare circa 5 milioni di metri cubi di sabbia dalla laguna al centro di sei isole. In questo modo nella zona di Addu i “terreni” verrebbero rialzati, sarebbe garantita la difesa delle coste dall’erosione costiera e si otterrebbe lo spazio necessario per costruire in sicurezza.

Per Ali Nizar, sindaco di Addu City, quella presa è una decisione difficile, ma questo territorio “ha bisogno di cambiamenti economici e ha bisogno di avere la terra e con questo progetto ne avremo abbastanza per i prossimi 50 anni” si legge in una sua dichiarazione.

Non la pensa così però l’associazione Transparency Maldives convinta che la popolazione locale non tragga abbastanza benefici, dato che queste isole “vengono bonificate per lo sviluppo del turismo, da dare ai ricchi e all’élite affinché possano costruire imprese”. Va detto che buona parte della popolazione di Addu appoggia l’iniziativa ma la valutazione ambientale sui rischi legati al progetto solleva diversi dubbi sui possibili impatti su barriere coralline, piante acquatiche, mangrovie e organismi marini, fondamentali per le attività di pesca e turismo.

Secondo la valutazione la bonifica potrebbe infatti seppellire 21 ettari di coralli e 120 ettari di praterie di fanerogame sollevando sedimenti che rischiano di “soffocare gli ecosistemi vicini e influenzare la loro capacità di riprendersi a lungo termine” sostiene un gruppo di agenzie ambientali che ha chiesto al governo delle Maldive di fermare il progetto.

Dall’altra parte però Van Oord, che ha già realizzato processi innovativi di dragaggio alle Maldive eseguiti con successo, sostiene che c’è un interesse generale a lavorare con la popolazione locale e a creare il minimo impatto ambientale. Joyeeta Gupta, professoressa dell’Università di Amsterdam, ha dichiarato al Guardian che «tali strategie sono sia positive che negative; mentre migliorano il potenziale di sviluppo e la capacità di adattamento delle isole, creano anche nuovi problemi - come l’estrazione della sabbia che colpisce l’oceano - e un maggiore turismo che influisce sulla qualità dei coralli che desiderano proteggere e preservare».

In attesa di comprendere come e se verranno sviluppati i nuovi progetti, per ora le Maldive possono solo sperare che le previsioni più nere non si avverano: anche quelle dell’Onu, purtroppo, indicano che entro il 2050 buona parte degli atolli delle Maldive finirà sommersa e che ormai il 97% di questi è già soggetto all’erosione.

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di Redazione 2 min lettura