Ambiente

Non facciamoci prendere dall’ecoansia

Il timore di catastrofi ambientali colpisce soprattutto i giovani. Ma ci sono alcune buone pratiche e piccole azioni che ci “salvano” dallo stress
Credit: Gabriel McCallin/Unsplash
Tempo di lettura 4 min lettura
13 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

La sesta estinzione di massa, la catastrofe climatica, il suolo contaminato, la scomparsa dei ghiacciai, la corsa alle risorse idriche: sono tutte crisi ambientali causate dall’uomo, con impatti devastanti sull’essere umano stesso. Fenomeni che contribuiscono a costruire un immaginario possibile del nostro futuro a medio termine basato su un mondo inospitale, ostile, pericoloso, mortale. Un esercizio con cui si sono cimentati scienziati e artisti, attivisti e registi cinematografici, in un crescendo crepuscolare, terrorizzante da fin du monde.

Tra pandemie, apocalissi nucleari e inferno climatico, un velo di cupezza, di paura, di ansia è sceso tra noi negli ultimi anni. Ma se la pandemia ha lasciato rapidamente spazio alla frustrazione, e l’escalation in Russia sembra affievolirsi, lo spettro delle crisi ambientali per molti continua a essere un elemento di disturbo, con impatti psicologici sempre più evidenti.

Numerosi esperti come la psicologa Pihkala Panu dell’Helsinki Institute of Sustainability Science, hanno studiato come la distruzione della natura abbia un impatto anche durevole sul profilo psicologico delle persone, in particolare tra i giovani. Viene definita ecoansia o depressione climatica, un disturbo psico-fisico che corrisponde alla “paura cronica del disastro ambientale”.

Di fronte all’inesorabile destino (almeno questa è la percezione catastrofista) si genera un senso di impotenza e di frustrazione, un’angoscia generalizzata per qualcosa che è immensamente più grande di noi. I sintomi, spiega lo psichiatra Matteo Innocenti, autore del volume Ecoansia “sono mancanza di concentrazione, pensiero che si arrovella sempre sullo stesso argomento, incubi, paura per il futuro”.

Ne soffrono soprattutto i giovanissimi, ha rivelato uno studio su The Lancet, secondo il quale la metà dei giovani intervistati (45%) sostiene che l’ansia per il cambiamento climatico influenza la quotidianità, il modo di mangiare, studiare e dormire.

Sebbene non giovanissimo, mi è capitato qualche anno addietro di soffrirne di una versione leggera. L’esposizione continua a notizie catastrofiche e il coinvolgimento in prima persona come testimone di ecodisastri, dalla maxifuga di petrolio della Deepwater Horizon all’impatto dell’estrazione del carbone in Sud Africa, passando per tornado in Usa, allagamenti nel sud-est asiatico, ghiacciai in via di estinzione sulle Alpi, hanno spesso influenzato il mio umore, rendendomi irritabile, inquieto, e spesso rassegnato all’inevitabile catastrofe.

Perché pianificare una vita, pensare a un futuro a lungo termine data l’inevitabilità del collasso climatico? Cosa fare di fronte all’evidente incapacità politica di agire, davanti allo strapotere delle big del petrolio, troppo drogate di profitto per pensare al futuro del Pianeta, all’equità intergenerazionale? Passa la voglia di pensare a lungo termine, meglio vivere alla giornata, tanto poi chissà. Ti assale anche il panico: non sto contribuendo abbastanza come giornalista specializzato di ambiente? Perché agli altri non interessa? Non hanno a cuore il futuro dell’umanità?

Eppure questa ansia può essere alleviata. Secondo Irene Baños, collega giornalista spagnola, autrice del primo libro sul tema, Ecoansias, bisogna partire dal ripensare le scelte che facciamo ogni giorno. Piccole azioni per dimostrare che invertire la rotta è possibile, aiutandosi a trovare una prospettiva, a reagire, a contrastare l’ignavia dell’ecoansia.

Ho scoperto anche che camminare e stare nella natura aiuta a essere più positivi e avere una migliore prospettiva. Endorfine da movimento e bellezza sono sempre una cura comprovata per l’ansia. Non solo: ho riscoperto un’attitudine positiva, cercando di bilanciare cattive notizie con il grande sforzo che scienziatə, politici, cittadine e cittadini stanno proferendo nella lotta contro il climate change o nella tutela degli habitat.

Ho smesso di fare quello che in inglese chiamano doomscrolling, ovvero leggere senza requie feed negativi e catastrofici fin dalle prime ore del mattino (sappiamo che disintossicarsi da social e feed fa bene alla salute). Ho iniziato ad apprezzare quello che il giornalista Marco Merola chiama giornalismo costruttivo (senza per questo diventare un’inguaribile ottimista), ovvero un modo di raccontare i problemi attraverso le soluzioni e le idee per contrastarli.

C’è tantissimo da fare per salvarci dalla catastrofe ambientale. Una di queste, data la crescente diffusione dell’ecoansia, è proprio prenderci cura della nostra psiche, anche cercando aiuto se necessario. In un Paese conservatore e vecchio come il nostro perdura lo stigma per chi necessità aiuto psicologico, e invece è importante trovare aiuto e reagire. Soprattutto per l’ecoansia.

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