Ambiente

La minaccia nucleare non proviene solo dalla Russia

La centrale slovena di Krško è stata inaugurata nel 1983 in prossimità di tre faglie attive. Il governo vuole prolungarne le funzioni, ma serve il parere degli Stati vicini, Italia inclusa. Per ora, però, tutto tace
La centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, in uno scatto del 12 dicembre 2004. (ANSA / EPA/STRINGER /JI)
La centrale nucleare di Krsko, in Slovenia, in uno scatto del 12 dicembre 2004. (ANSA / EPA/STRINGER /JI)
Tempo di lettura 5 min lettura
22 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

Nel 2012, ho visitato per un reportage la centrale nucleare di Krško. Ricordo il ronzio costante delle centrifughe, i controlli serrati della NEK, Nuklearna elektrarna Krško, e i filari di alberi carichi di mele a pochi metri dalla recinzione dell’impianto, forse lì per dimostrare la sicurezza del sito. Ma più di tutte il ricordo si ferma su quel ronzio spaventoso e rassicurante allo stesso tempo. Fin qui tutto bene, mi dicevo, con in tasca le pastiglie di iodio prese per precauzione.

La centrale slovena di Krško, costruita alla fine degli anni ’70 e inaugurata nel 1983 è famosa per essere una delle più vicine al confine italiano. Solo 150 km separano Krško da Gorizia e Trieste. Un pelo più lontana della centrale nucleare francese di Bugey (al di là del confine piemontese), ma più vicina del conglomerato svizzero di Gösghen, Beznau e Leibstadt in Svizzera: in caso di incidente la nube tossica raggiungerebbe facilmente la Lombardia.

Noi italiani di fatto viviamo nelle vicinanze di centrali nucleari dei nostri vicini francesi, svizzeri e sloveni. Se si verificasse un incidente in uno di questi impianti scatterebbero misure di sicurezza notevoli –il riparo al chiuso e l’intervento di iodoprofilassi – per il Settentrione italiano, come richiesto dal piano nazionale per il rischio nucleare. L’ombra nucleare incombe anche sull’Italia che due volte ha ripudiato l’atomo.

Per questo il 28 e il 29 dicembre 2020, quando si sono registrati due terremoti di magnitudo 5.2 e 6.3 nella regione di Sisak, nella vicina Croazia, nel Triveneto molti cittadini si sono preoccupati. Niente danni per fortuna, il 31 ha ripreso a funzionare regolarmente.

Per gli ambientalisti però Krško rimane un rischio: la centrale infatti è stata costruita in prossimità di tre faglie attive (Orlica, Libna e Artiče) in grado di produrre terremoti di magnitudo massima pari a circa 7, dunque anche più forti di quello de L’Aquila del 2009. «È dimostrato che il reattore progettato negli anni ’70, dell’altro secolo, è protetto dai terremoti in modo assolutamente insufficiente», commentano da Legambiente. Concordi sismologi italiani, francesi e sloveni: il sito è inadeguato per una centrale nucleare.

La centrale avrebbe potuto chiudere i battenti nel 2023, a conclusione del suo ciclo vitale. Ma per il governo sloveno Krško deve vivere. Per questo è stato richiesto un prolungamento di 20 anni delle sue funzioni, aggiungendo anche un nuovo reattore da 1100 megawatt con ciclo di vita di 60 anni.

L’autorizzazione non c’è ancora. Per impedire la dismissione il governo di Janez Janša, deve ottenere una valutazione di impatto ambientale anche dagli stati vicini, dunque inclusa l’Italia.

Da Roma tutto tace nonostante il rumore creato da Legambiente intorno alla questione. È un momento difficile per prendere una decisione di questo tipo a cuor leggero e che riporta per l’ennesima volta il tema del nucleare e di una politica energetica comune europea.

Fukushima e più recentemente la presa di Chernobyl hanno dimostrato che anche le tecnologie più avanzate e le procedure più sofisticate di messa in sicurezza possono fallire di fronte a fenomeni catastrofici, così come di fronte a eventuali crisi belliche. D’altro canto il nucleare è una fonte a emissioni climalteranti zero che offre nella sua futura evoluzione – con la fusione – prospettive interessanti.

Possiamo scegliere un’opzione zero, ovvero quella di produrre meno energia. Anche questa non è affatto escludibile senza cadere nel pauperismo. Abbiamo ignorato per decenni le possibilità di efficientamento energetico e di economia circolare, che ci dicono che possiamo ridurre anche di varie decine di punti il nostro consumo energetico.

Il problema è una visione coerente e coordinata della politica. Come nella crisi pandemica sono state prese molte decisioni affrettate (alcune inevitabilmente affrettate), anche in questa crisi energetica si è persa la calma e si vuole dare spazio al carbone, e si rimettono in sesto centrali nucleari che destano preoccupazione e molto altro. Le nazioni hanno il diritto alla sovranità energetica, specie quando il governo è democraticamente eletto.

Se si vuole fare il nucleare allora tutti ne traggano rischi e opportunità, altrimenti si prenda una decisione pan-europea a dire no alla fissione nucleare e si imposti un piano di efficientamento energetico davvero ambizioso accompagnato a una temporanea diversificazione di gas e a una crescita della produzione da rinnovabili spinta dall’urgenza bellica.

Krško è un altro tassello di questo complicato puzzle chiamato energia. Ma è bene ricordare che per l’Europa vale sempre il principio di precauzione. E forse almeno in questo caso potrebbe essere sensato ottenere il decomissioning della centrale. Dopo pandemia e una guerra ad alta intensità, meglio evitare un nuova catastrofe nucleare sul continente europeo.

Leggi anche
Ambiente
di Giacomo Talignani 6 min lettura
esteri
di Chiara Manetti 5 min lettura