Ambiente

Fonti di energia. L’Europa divisa sul nucleare

La Commissione continua a prendere tempo. Ma di tempo ce n’è decisamente sempre meno
di Giacomo Talignani
Tempo di lettura 6 min lettura
13 gennaio 2022 Aggiornato alle 07:00

Non c’è più tempo ma l’Europa chiede tempo. Se dovessimo immaginare i problemi del nostro secolo come onde, la prima sarebbe quella che ci continua a travolgere da un paio d’anni, la pandemia. La seconda quella che sta per abbattersi, anche in termini economici, ovvero l’aumento dei prezzi dei gas e dell’elettricità, strettamente legato alla terza onda, la più grande e pericolosa di tutte, la crisi climatica già in corso.

Per cercare di fermare gli effetti della terza onda - che disegnano un futuro nero con temperature a +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali - bisogna curare il problema emissioni. Come sappiamo, le emissioni climalteranti sono legate all’uso dei combustibili fossili, in primis il carbone, che a livello mondiale garantisce il 35% dell’energia elettrica per il nostro fabbisogno. Se - come necessario e inderogabile - dobbiamo veramente abbandonare l’uso del carbone e delle fonti fossili, come otteniamo l’energia elettrica necessaria per le nostre vite ed economie?

Fonti di energia

Ad oggi nel mondo il 61% dell’elettricità proviene da fonti fossili (35 carbone, 3 petrolio, 23 gas). Circa il 35% invece da fonti rinnovabili e nucleare, ovvero 16% idroelettrico, 3% solare, 6% eolico e 10% nucleare. Alla Cop26 di Glasgow, la maggior parte dei Paesi si è detta d’accordo sull’implementare l’uso delle rinnovabili, le più pulite e amiche dell’ambiente, che però attualmente - nonostante crescano senza sosta - hanno ancora un problema di intermittenza (non garantiscono sempre energia h24) e di sistemi di accumulo. Di conseguenza, in questa fase di transizione ecologica, l’unica altra importante risorsa di energia che non produce particolari emissioni da poter prendere in considerazione è la fissione nucleare.

Nucleare sì o no?

Bene, a questo punto si aprono due problemi: nucleare sì o nucleare no? E poi, il nucleare è davvero considerabile una energia “verde” e sicura? Su questi due punti - che andrebbero risolti in tempi brevi dato che la crisi climatica non aspetta (anche visti gli eventi impattanti dell’ultimo anno ) - l’Europa è divisa, il mondo un po’ meno.

Nel mondo ci sono circa 438 reattori nucleari operativi (l’ultimo, il più potente, è appena stato inaugurato in Finlandia), 103 (per 100 GWe) di questi si trovano in Europa e più della metà (56) sono in Francia. Nell’Unione Europea il nucleare è presente in 13 dei 27 stati membri. Attualmente, a livello globale, paesi come gli Stati Uniti (con oltre 90 reattori), Cina, India, Russia, Giappone (che investe apertamente sul ritorno dell’atomo) e altri continuano a puntare - con tanto di investimenti soprattutto in Asia - su questa forma di energia: in Cina per esempio è una tecnologia centrale (stanno costruendo altre 18 centrali), da affiancare a quella che diventerà una delle fonti principali, le rinnovabili.

Essendo priva di processi di combustione, ma basata sulla fissione dell’atomo e la produzione di energia che passa per il bombardamento dell’uranio, l’energia nucleare non emette CO2 o gas serra negativi per l’ambiente. Dall’altra parte però, come insegnano gli incidenti di Chernobyl e Fukushima, non si può dire che sia una tecnologia sicura al 100%, oltretutto con un notevole problema relativo alle scorie nucleari fortemente impattanti per uomo e ambiente.

Europa divisa

Questo passaggio divisivo è oggi alla base delle diatribe tra Stati europei se inserire o meno il nucleare nella Tassonomia Verde dell’Unione Europea (così come il gas naturale), tassonomia che è in sostanza il sistema per classificare se si tratta di investimenti ecosostenibili e che aiuta a veicolare anche gli investimenti privati.

I vari governi europei avevano inizialmente tempo sino al 12 gennaio per esprimere pareri e obiezioni su un sì o un no al nucleare da intendersi come energia verde, ma la data è stata spostata al 21 gennaio, quando la Commissione dovrà esaminare le osservazioni degli stati membri e valutare possibili emendamenti. Il testo definitivo dovrebbe essere pubblicato verso fine del mese, ma il provvedimento non entrerà in vigore prima dell’estate.

Di fatto, l’Europa - nonostante la necessità di una azione urgente - ha nuovamente preso tempo. Questo a causa delle posizioni di alcuni dei governi principali: da una parte la Francia che con le sue 56 centrali (che producono il 70% dell’energia elettrica del paese) preme per riconoscere il nucleare come “green”, dall’altra la Germania che invece, anche recentemente, ribadisce il no (ma direbbe sì al gas). Il no tedesco fa parte della strada verde tracciata dal governo che ha portato a chiudere la maggior parte delle centrali, con solo tre ancora attive ma che saranno dismesse a breve.

In mezzo, tanti Stati dalle visioni opposte, dai pro nucleare come la Polonia, Finlandia, Belgio, Ungheria, Repubblica Ceca e altri ai contrari come l’Austria (che è persino pronta a fare ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea) oppure la Spagna, Portogallo e Danimarca, o ancora a paesi come l’Italia il cui orientamento è incerto nonostante in passato i cittadini abbiano già bocciato il nucleare attraverso 2 referendum e dove dunque non ci sono impianti, Stato che però compra parte (si stima fra il 5 e il 10%) dell’energia per esempio prodotta dal nucleare francese. Attualmente, sulla questione l’Italia è divisa anche al suo interno: il ministro Roberto Cingolani è favorevole alla tassonomia green per il nucleare ma altri esponenti del governo (vedi Pd e il Movimento 5 Stelle) sono nettamente contrari.

Nuove tecnologie

In generale, coloro che sono per la visione di un nucleare da considerarsi verde sottolineano l’efficacia di questo sistema che offre energia “pulita” h24, mentre i detrattori rimarcano i pericoli in termini di sicurezza e il problema dello smaltimento scorie, oltre a tempi lunghi e impatti ambientali per le costruzioni.

In questo contesto è però necessario guardare al futuro e alle nuove tecnologie. Mentre c’è grande attesa per lo sviluppo della fusione nucleare (difficilmente ipotizzabile prima del 2050 e su cui stanno già investendo a esempio Jeff Bezos e Bill Gates), le centrali del domani saranno di terza generazione avanzata e di quarta generazione, mentre quelle già esistenti sono quasi tutte di seconda.

Le nuove centrali permetterebbero ai paesi un mix energetico (nucleare+rinnovabili) che, secondo gli esperti, garantirebbe l’addio definitivo al fossile. Ma di cosa si tratta? In generale si parla di impianti, spesso reattori di taglia medio-piccola, che non saranno completamente operativi prima di una quindicina d’anni e per cui, in caso di nuova costruzione, è ipotizzabile una forbice temporale fra i 10 e i 20 anni.

Entrambe le nuove generazioni offrono più sicurezza: quelle di terza per esempio hanno sistemi in grado in caso di incidenti di allagare il nucleo o spegnersi, mentre quelli di quarta usano l’uranio naturale, non arricchito, che significa che si creano pochi rifiuti radioattivi perché sono a ciclo chiuso, e dunque permettono meno problemi di gestione delle scorie.

Per quelli di quarta si parla di reattori avanzati al piombo e un primo esempio è in costruzione in Russia, il reattore Brest. Altri progetti europei di terza generazione o tecnologicamente avanzati sono poi in sviluppo in Romania (reattore Alfred), Bulgaria, Repubblica Ceca e già in costruzione in Slovacchia.

Possibili futuri investimenti su altri progetti nucleari dipenderanno, come è logico pensare, dalla decisione sulla tassonomia green dell’Europa: attualmente, anche se è complesso districarsi nei percorsi che porteranno alle decisioni finali, l’orientamento potrebbe essere verso il sì. Resta comunque, in primo luogo, la necessità di avere una linea condivisa, che si tratti di pro o anti atomo: il Pianeta infatti continua a surriscaldarsi e il tempo a disposizione per invertire la rotta sta finendo.