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Venezia non è la capitale d’Italia ma è la capitale dell’Arte!

Ogni due anni la città accoglie centinaia di artisti da tutto il mondo per la Biennale internazionale d’arte. Se l’arte fosse uno sport, la Biennale sarebbe un’Olimpiade
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4 maggio 2024 Aggiornato alle 09:00

Venezia è una città a forma di pesce. Ogni giorno dell’anno brulica di turisti. Più volte all’anno le piogge fanno alzare il livello dell’acqua inondando calli e campi. Una volta all’anno si riempie di star per la Mostra del Cinema e, sempre una volta l’anno, la popolazione si maschera per festeggiare il Carnevale. Ogni due anni, invece, la città a forma di pesce diventa la capitale mondiale dell’arte contemporanea in occasione della Biennale internazionale d’arte di Venezia.

La Biennale internazionale d’arte di Venezia è una delle più importanti e prestigiose manifestazioni artistiche del mondo. Alcuni dicono che se l’arte fosse uno sport sarebbe un’Olimpiade! La Biennale è nata nel 1895 quando l’Italia era un Paese ancora fresco fresco di unificazione e aveva bisogno di grandi eventi pieni di bellezza e cultura per potersi abbracciare tutta quanta e brillare in mezzo agli altri Paesi.

All’epoca si organizzavano grandi saloni internazionali in cui ogni nazione faceva sfoggio della propria cultura e modernità in un’atmosfera di competizione. La Biennale di Venezia è nata un po’ con lo stesso spirito. Allora come oggi, ogni due anni, i Paesi presenti espongono ciascuno in un padiglione le migliori opere degli artisti di oggi.

Come per i temi e le ricerche a scuola, anche la Biennale ha una traccia che ispira gli artisti. Quest’anno, il tema è Stranieri ovunque - Strangers everywhere. È un titolo molto furbo e interessante perché ha almeno due significati. Può voler dire che ci sono stranieri ovunque intorno a noi ma anche che, ovunque andiamo, siamo sempre stranieri.

L’idea dietro a questo tema è parlare di chi vive ai margini, lontano da quello che viene considerato - a torto - il centro del mondo, cioè l’Occidente. Migranti, emarginati, donne, persone Lgbtqia+, minoranze sono infatti i protagonisti di questa sessantesima edizione.

La Biennale di quest’anno, che è cominciata il 20 aprile e si chiuderà il 24 novembre, mette in mostra 331 artisti da 88 Paesi. Fra loro sono tantissimi quelli provenienti da popolazioni indigene e dal sud del mondo e molti di loro si identificano come queer. Insomma, gli “stranieri ovunque” non sono solo l’oggetto dell’arte ma anche il soggetto, coloro che la fanno.

Oltre al tema di questa edizione, che è un invito a rappresentare le persone dimenticate dalla società, la Biennale è stata scossa dagli effetti delle due grandi guerre in corso, quella tra Israele e Palestina e quella tra Russia e Ucraina. Gli artisti israeliani hanno deciso di protestare non aprendo il loro padiglione finché non ci sarà un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani. Gli artisti russi, invece, per protestare contro l’invasione dell’Ucraina da parte del loro stesso Paese hanno ceduto il loro padiglione alla Bolivia.

Il fatto è che l’arte può fare tante cose - raccontare il mondo, lenire le ferite, farci sentire meno soli e meno sole - ma non può fare finta di niente.

Ispirate dal successo di Venezia, negli anni sono spuntate tante Biennali nel mondo. Ce ne sono in Brasile, in Cina, negli Emirati Arabi Uniti, in Corea del Sud…

Con la fine delle colonie, e cioè dell’ingiusta dominazione dei Paesi europei su altri africani, asiatici e sudamericani, il mondo si è fatto man mano più vasto, più bello e più vario. All’Europa e all’Occidente si sono aggiunte nuove voci di altri Paesi, con altre realtà, altre radici, e le Biennali sono diventate un modo per raccontare la propria storia unica che tanti secoli di dominazione avevano zittito.

A differenza della Biennale di Venezia, però, le altre Biennali non dividono gli artisti in padiglioni nazionali, forse perché i confini e le barriere non ricordano mai niente di molto buono e, se l’arte può fare a meno di un passaporto, tanto vale farla viaggiare libera.

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