Futuro

Campioni europei

Le regole vanno bene. Ma le policy per sviluppare il digitale nel Vecchio Continente andrebbero anche meglio. Probabilmente la prossima Commissione se ne occuperà. Ma chi saprà cogliere l’occasione?
Credit: Marijan Murat/dpa  

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2 maggio 2024 Aggiornato alle 06:30

È in corso una grande riflessione sulla strategia europea nel digitale. Le elezioni per il Parlamento dell’Unione sono l’occasione per pensare al programma per la prossima Commissione europea. E il problema è chiaro: come si può passare da una fase di forte innovazione nelle regole per il digitale a una policy per lo sviluppo del digitale made in Europe?

La Commissione uscente è riuscita a costruire un mosaico di interventi che in effetti disegnano un’idea originale. Digital Services Act e Digital Markets Act, Data Governance Act e Data Act, Chips Act e Artificial Intelligence Act, Media Freedom Act e Dichiarazione dei principi e dei diritti nella decade digitale, sono gli interventi a diverso livello di maturità e di concretezza che hanno caratterizzato la politica comunitaria negli ultimi cinque anni. Hanno costruito sulla leadership intellettuale e normativa conquistata dall’Unione europea con il General Data Protection Regulation del 2016 e hanno ampliato la normativa digitale europea a un livello che non esiste altrove in Occidente.

C’è chi critica tutto questo come una forma di eccesso di regolamentazione. Börje Ekholm, amministratore delegato di Ericsson, sostiene che le norme europee sono tanto fitte da frenare l’innovazione.

Il suo intervento, sul Financial Times, si rivolge soprattutto al mercato delle compagnie telefoniche nel quale le politiche antitrust e le regole stanno mettendo in difficoltà gli operatori, cioè i clienti della sua azienda. E molti leader del settore pensano che si debba ridurre il numero degli operatori telefonici in Europa consentendo un consolidamento che potrebbe servire a riguadagnare margini. E quindi, forse, nelle speranze di Ekholm, faciliterebbe gli investimenti nell’innovazione, compresi quelli che servono per accelerare nella costruzione di reti 5G. Ericsson e Nokia hanno registrato diminuzioni del fatturato nell’ultimo trimestre.

Bisogna ammettere che le telecomunicazioni sono molto regolamentate.

Del resto, lo sono anche perché sono uscite da una fase storica in cui erano gestite monopolisticamente in tutti i Paesi europei e le norme sono servite soprattutto a privatizzare e ad aprire i mercati.

Il risultato è stato una riduzione dei prezzi e dei margini delle compagnie e un guadagno per i consumatori. Ma è anche vero che le compagnie telefoniche non sono state molto innovative nelle tecnologie digitali, anche nelle fasi meno regolamentate: in molti casi si sono concentrate sulla difesa di nicchie protette, come il roaming internazionale che garantiva ingiustificati sovrapprezzi, hanno combattuto la net neutrality che consentiva di controllare il traffico internet a loro vantaggio, ma non si sono certo spinte negli investimenti per innovazioni radicali, non hanno costruito servizi digitali intelligenti, degni di competere con gli OTT come Google e Facebook.

Bisogna ricordare che all’inizio del millennio le compagnie telefoniche erano tutte molto più grandi di quelli che oggi sono giganti digitali e allora erano startup: ma nonostante i mezzi che avevano a disposizione si sono concentrate sulle attività commerciali molto più che sulla ricerca e l’inventiva digitale.

Le regole attuali sono state fatte soprattutto per contenere i giganti di adesso e favorire la nascita di nuove iniziative innovative europee che siano compatibili con i valori affermati dalla Commissione e dal Parlamento europei, con l’approvazione, talvolta faticosa, del Consiglio. E gli investimenti in infrastrutture di calcolo pubbliche europee sono pensati anche per facilitare la vita delle startup ad alta tecnologia europee.

In effetti, si può scommettere che l’anno prossimo in quest’epoca, gli europei conteranno per esempio almeno venti nuove aziende che producono large language models all’europea, cioè salvaguardando il copyright e la privacy, con forte attenzione alla varietà delle lingue e alle sensibilità culturali europee. Quello che invece non avviene è una forte ondata innovativa da parte delle compagnie telefoniche che nel frattempo sono sempre meno grandi e sempre più concentrate sulla battaglia dei prezzi. È chiaro che occorre pensare anche a questo, come suggerisce Enrico Letta nel suo rapporto Much more than a market. Come occorre investire nei grandi settori europei che si trovano in difficoltà, a partire dall’automobile e dall’energia.

Ma forse occorre cominciare a riconsiderare anche il panorama dal quale possono emergere i prossimi campioni tecnologici europei. Saranno quelli che stanno davvero investendo nell’innovazione digitale. Saranno quelli che hanno interesse a far fiorire un ecosistema di startup innovative. Saranno quelli che studiano e vedono lontano.

Si possono trovare aziende e organizzazioni che hanno compreso come il loro futuro dipenda dai loro investimenti innovativi: alcune grandi banche, alcune compagnie di ingegneria, alcuni gruppi della distribuzione, qualche compagnia assicurativa, alcuni grandi sistemi di ricerca, e così via. I prossimi campioni della tecnologia all’europea nasceranno dalla conoscenza più che riconsidera con coraggio il futuro, più che dai settori che tradizionalmente sono collegati alla tecnologia digitale ma che finora non hanno saputo cogliere le opportunità che offre.

Se saranno coerenti, le prossime policy per lo sviluppo digitale europeo, probabilmente, cercheranno di valorizzare chi davvero innova piuttosto che proteggere chi non dimostra di farlo. E forse questo convincerà alcune compagnie a investire sul serio: ce ne sarebbe bisogno, per il cloud computing, per l’intelligenza artificiale, per il sostegno all’edge computing, per la sicurezza digitale, per la sanità telematica e per molte altre questioni.

Insomma, i prossimi cinque anni saranno decisivi per gli europei che non vedono l’ora di assistere a un’accelerazione innovativa condotta secondo i principi umani che la loro civiltà ha elaborato, dopo gli orrori del secolo scorso.

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