Economia

Italia: il 79% degli stati di emergenza degli ultimi 10 anni è legato al clima

Dal 2013, 152 delle 193 emergenze nazionali riguardano eventi meteorologici estremi. Secondo le stime di Scope Ratings, tra il 2020 e il 2050 ulteriori ritardi sulla transizione ecologica potrebbero far perdere all’Italia circa il 14,5% del Pil
Credit: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI  

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16 aprile 2024 Aggiornato alle 08:00

Lo scorso anno si sono verificati in Italia 368 eventi estremi (il 22% in più rispetto al 2022) con danni economici che la Coldiretti stima superino i 6 miliardi sull’agricoltura, che hanno causato la morte di 31 persone. A rivelarlo è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente.

Con 210 eventi meteorologici estremi, il Settentrione è stato l’area più colpita, seguita dal Centro (98) e dal Sud (70).

Sono aumentate anche le alluvioni e le esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022), i record di temperature nelle aree urbane (+150%), le frane da piogge intense (+64%), le mareggiate (+44%), i danni da grandinate (+34,5%), e gli allagamenti (+12,4%). A ciò si aggiunge il problema inerente lo zero termico, che ha raggiunto sulle Alpi quota 5.328 metri.

Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato sono le città più colpite.

Lombardia ed Emilia-Romagna risultano, invece, le regioni più vulnerabili nel 2023 con, rispettivamente, 62 e 59 eventi che hanno provocato danni. A seguire, Toscana con 44 eventi, Lazio (30), Piemonte (27), Veneto (24) e Sicilia (21).

Solo nel mese di luglio, la Lombardia è stata colpita da 28 eventi, due le vittime. Tra le province più colpite, al primo posto c’è Roma con 25 eventi climatici estremi, seguita da Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10.

Non è una novità. L’Italia è alle prese ormai da anni con situazioni emergenziali legate al clima. Sono 193 gli stati di emergenza di rilievo nazionale riconosciuti dal Governo tra maggio 2013 e febbraio 2024, 39 dei quali negli ultimi due anni. Il 79% (152 in tutto) sono stati legati a eccezionali eventi meteorologici, alluvioni e frane.

Lo stato di emergenza, che per legge non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per massimo altri 12, viene deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio a seguito di una valutazione della Protezione Civile e su richiesta (o tramite intesa) della Regione o Provincia autonoma interessata. La delibera autorizza l’emanazione delle ordinanze di protezione civile, in deroga a ogni disposizione vigente, con cui si provvede al coordinamento degli interventi (in accordo con l’articolo 25 del Codice della protezione civile).

Oltre ai fenomeni meteorologici, tra le emergenze sono incluse anche quelle sanitarie per il Covid-19 (durata due anni e tre mesi), quelle sismiche e vulcaniche, quelle legate a criticità ambientali (incendi, contaminazioni, rifiuti) e infine all’accoglienza dei migranti.

Eppure, nonostante ciò, non si è investito quanto necessario in prevenzione. Lo scorso decennio in Italia si è speso dieci volte in più per gli interventi emergenziali rispetto a quanto preventivato; tra il 2013 e il 2019 sono stati spesi circa 20 miliardi di euro per l’emergenza e circa 2 miliardi per la prevenzione. Lo sottolinea un policy brief di ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, presentato il 4 marzo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il quale stima come la spesa necessaria per rendere l’Italia più resiliente al dissesto idrogeologico – che viene proprio alimentato dai fenomeni climatici estremi – ammonti a 26 miliardi di euro.

L’Italia è un Paese estremamente esposto agli effetti del climate change, come dimostra lo stress test climatico sulle grandi economie europee effettuato da Scope Ratings, un’agenzia che valuta – con il Macroeconomic Climate Stress Test (Mcst) – l’impatto dei rischi nei prossimi decenni. Dall’analisi, condotta sulle cinque principali economie europee – Italia, Paesi Bassi, Spagna, Germania e Francia – emerge come l’Italia sia il Paese maggiormente a rischio, con perdite legate a una transizione ritardata potenzialmente pari a 17,5 trilioni di euro tra il 2020 e il 2050, circa il 14,5% del Pil.

A seguire ci sarebbe la Spagna, dove l’impatto economico, in caso di transizione tardiva, ammonterebbe a circa il 10,5% del Pil. E i due Paesi del Mediterraneo sono inoltre esposti al rischio fisico cronico associato all’aumento delle temperature, con perdite economiche annue rispettivamente dell’8,7% e del 6,5%, a causa della siccità.

Ma i dati si fanno ancora più seri sul piano globale. Come sottolinea uno studio condotto da Ilan Noy, docente della Victoria University di Wellington, i danni causati da eventi meteorologici estremi sono costati 16 milioni di dollari ogni ora negli ultimi 20 anni. Lo studio ha rilevato costi medi di 140 miliardi di dollari all’anno dal 2000 al 2019, sebbene la cifra vari in modo significativo di anno in anno. Gli ultimi dati mostrano perdite complessive pari a 280 miliardi di dollari nel 2022. E i ricercatori sottolineano che a causa della mancanza di statistiche affidabili – soprattutto dei Paesi a basso reddito – le cifre sono fortemente sottostimate; nel calcolo non sono inoltre inclusi i costi climatici aggiuntivi come quelli derivanti dal calo della resa dei raccolti e dall’innalzamento del livello del mare. Noy e Newman hanno prodotto le stime combinando da un lato i dati sul legame tra il riscaldamento globale e il peggioramento degli eventi meteorologici estremi, e dall’altro lato quelli sulle perdite economiche. Lo studio, inoltre, rileva che il numero di persone colpite da condizioni meteorologiche estreme a causa della crisi climatica ammonti a circa 1,2 miliardi negli ultimi due decenni; due terzi dovuti alla perdita di vite umane, un terzo alla distruzione di proprietà e altri beni.

E oltre a causare disastri ambientali, la crisi climatica mette a rischio la sicurezza alimentare globale e l’accesso ai beni alimentari. Come osservato da un team di ricercatori in una pubblicazione su Nature Communication Earth & Environment, i prezzi del cibo dovrebbero aumentare globalmente tra lo 0,92% e il 3,2% l’anno fino al 2035, Gli effetti saranno maggiori nelle aree a più basse latitudini, nonché in Africa e Sud America, con stagionalità meno marcate; qui le conseguenze si sentiranno più o meno costantemente durante tutto l’anno (al contrario dell’andamento stagionale alle latitudini più elevate, dove l’impatto dovrebbe essere inferiore).

L’Italia, dunque, è fortemente esposta ai cambiamenti climatici, e i danni hanno già iniziato a farsi sentire, soprattutto nell’ultimo decennio. Il governo attuale – e quelli futuri – sono chiamati a intervenire affinché si prevengano quanto più possibile eventi catastrofici come quelli visti negli ultimi anni. Perché tramite questi interventi, si potrebbe salvare un intero sistema economico da una catastrofe senza precedenti.

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