Bambini

Canada, Ddl per regolamentare i post online: i critici temono per la libertà d’espressione

Con il Bill C-63 verrebbe istituita un’agenzia per multare le società e rimuovere i “contenuti dannosi” (non viene specificato però cosa rientri in questa definizione) soprattutto per i minori. Il rischio: eccesso di cautela anche nella diffusione di foto e video “legali”
Credit: Darya Sannikova 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 aprile 2024 Aggiornato alle 20:00

Combattere l’odio online è una priorità. Proteggere i bambini, anche. Su questo, ci sono pochi dubbi. Su come farlo, invece, le opinioni sono meno unanimi. Per questo ha fatto molto discutere il disegno di legge introdotto dal Governo canadese che secondo i critici è censorio e pericoloso per la libertà di espressione. “Orwelliano”, l’ha definito la scrittrice canadese Margaret Atwood su X, citando un articolo di Jane Stannus sullo Spectator.

Alla base del Bill C-63, “una legge volta ad attuare l’Online Harms Act, a modificare il codice penale, la legge canadese sui diritti umani e una legge che rispetta la segnalazione obbligatoria di pornografia infantile su Internet da parte di persone che forniscono un servizio Internet e ad apportare modifiche consequenziali e correlate ad altre leggi”, c’è la volontà di costringere le aziende tecnologiche a limitare e rimuovere i contenuti dannosi che vengono pubblicati sulle loro piattaforme, soprattutto quelli che coinvolgono bambini.

Della legge si è parlato molto circa un mese fa a causa delle disposizioni che avrebbero potuto risultare addirittura in arresti domiciliari per chi fosse solo sospettato di poter commettere un reato di questo tipo, rendendo reale lo scenario distopico del controllo del “pre-crimine” alla Minority Report.

Il disegno di legge, infatti, era stato criticato per la facoltà concessa ai giudici di imporre restrizioni preventive alle persone che si ritiene, per motivi ragionevoli, potrebbero commettere crimini di hate speech in futuro. L’imputato sarebbe costretto a scegliere tra la reclusione o pene alternative che potrebbero essere accompagnate da condizioni severe come la consegna di campioni corporei, astensione da droghe e alcol, la rinuncia alle armi da fuoco e l’uso di un dispositivo di monitoraggio della caviglia. A essere sotto accusa, però, è l’impianto stesso della legge e le criticità, secondo chi la contesta, sono ancora più profonde.

Il Bill C-63, infatti, creerebbe una nuova agenzia di regolamentazione con il potere di emettere ordini di rimozione 24 ore su 24 alle aziende per “contenuti dannosi”, abusi sessuali su minori o foto e video intimi condivisi senza consenso, impropriamente definiti “reverge porn”. Non solo: tra i suoi poteri ci sarebbero anche quelli di avviare indagini sulle società tecnologiche e imporre sanzioni multimilionarie per coloro che non si attengono alla richiesta “minimizzare il rischio che gli utenti del servizio siano esposti a contenuti dannosi”.

Multe che, dice chi chi si oppone alla legge, rischiano di far peccare le società di social media per eccesso di cautela, bloccando anche contenuti tecnicamente legali. Oltre alle piattaforme di social media, il disegno di legge si applicherebbe anche ai siti di pornografia e ai servizi di live streaming come Discord.

Ma cos’è un “contenuto dannoso”? La definizione non è così chiara, è già questo è un problema. Secondo il Bill, quello che “esprime detestazione o diffamazione di un individuo o di un gruppo di individui” in base alla loro razza, origine nazionale o etnica, colore, religione, età, sesso, orientamento sessuale, identità o espressione di genere, stato civile, stato di famiglia, caratteristiche genetiche e disabilità.

Per “maggiore certezza e ai fini della definizione di ‘contenuti che fomentano l’odio’”, il disegno di legge aggiunge che i contenuti “non esprimono detestazione o diffamazione unicamente perché esprime disprezzo o antipatia o scredita, umilia, ferisce o offende”. La legge, però, dicono i critici, non spiega come debbano essere interpretate parole come “offendere”, “ferire”, “umiliare”, “discreditare”, “antipatia”, “disprezzare”, “detestare” e “diffamare”, o se esiste una gerarchia di gravità.

Il Ddl, inoltre, ripristinando una legge abrogata dal Parlamento una decina di anni fa, consentirebbe a individui e gruppi di denunciare alla Commissione canadese per i diritti umani i discorsi di odio contro di loro. Il tribunale potrebbe ordinare multe fino a 50.000 dollari e risarcimenti fino a 20.000 dollari per i denuncianti, che in alcuni casi sarebbero anonimi. “I risultati”, ha spiegato la Canadian Constitution Foundation, organizzazione no-profit che promuove le libertà civili, “si baserebbero su un mero standard di ‘equilibrio delle probabilità’ piuttosto che sullo standard penale della prova oltre ogni ragionevole dubbio”.

Il Governo sembra voler «creare un Internet molto più pulito e questo è molto dannoso per la libertà di parola perché sono argomenti controversi di cui dobbiamo poter parlare», ha affermato Josh Dehaas, consulente presso la Canadian Constitution Foundation.

«La libertà di parola in questo Paese non include l’incitamento all’odio», ha risposto ai critici Arif Virani, ministro della Giustizia, respingendo le ipotesi che il Governo stesse cercando di limitare la libertà di parola e ribadendo che il disegno di legge (che è ancora in Parlamento e subirà probabilmente cambiamenti sostanziali prima di un’eventuale approvazione) cerca di proteggere le persone dall’odio.

Le critiche non sono unanimi, ha ricordato il New York Times: non solo molti genitori di vittime di odio online e associazioni a tutela dell’infanzia, ma anche alcuni esperti e aziende tecnologiche hanno elogiato il disegno di legge, affermando che le sanzioni più severe sono riservate alle peggiori forme di contenuto e non calpesteranno la libertà di parola.

«È un atto legislativo incredibilmente ponderato, se stai cercando di trovare un equilibrio tra protezione dai danni e protezione dei diritti fondamentali», ha affermato Emily Laidlaw, professoressa che si occupa di diritto della sicurezza informatica all’Università di Calgary.

Leggi anche