Diritti

Africa: la dura vita della libertà di stampa

In quasi la metà degli Stati, il diritto all’informazione viene negato: l’Eritrea è al 174° posto (su 180) nel World Press Freedom Index. Eppure, l’indipendenza del giornalismo può essere “un’arma” contro la predazione delle terre da parte delle potenze globali
Credit: Abhijith S Nair

Cresciuti nelle democrazie occidentali, spesso diamo per scontati molti diritti, come quello all’informazione. Le statistiche e i report ci dicono, però, che non è sempre ovunque così, che non dipende solo dalle autorità e che tutto può cambiare rapidamente. L’Africa ne è un esempio, anche se i primati più tristi sono detenuti da molti Stati asiatici.

Leggendo il rapporto World Press Freedom Index, che annualmente redige Reporters sans Frontières, nel 2023 oltre il 40% (nel 2022 era il 33%) degli Stati del continente africano è posizionato nella zona “bad” della classifica: 4 colpi di Stato non hanno certo aiutato a mantenere buone posizioni.

In Africa la triste classifica è guidata dall’Eritrea, che si trova al 174° posto su un elenco di 180 Stati: per avere un’idea generale, considera che la Russia si trova al 164° posizione; il primato negativo è occupato dalla Corea del Nord all’ultimo posto, preceduta in ordine da Cina e Vietnam.

In Africa, l’Eritrea è seguita dall’Egitto al 166° posto (peggio della Russia). Il Burkina Faso, invece, ha introdotto il divieto di trasmettere i canali d’informazione stranieri e ci si aspetta che presto questa “no news zone” sarà estesa a tutto il Sahel, che è sotto la morsa di dittature appoggiate dalla Russia.

Sempre in Africa, non mancano Stati virtuosi come Namibia (22° posizione) e il Sud Africa (25°), in molti casi meglio di altri Paesi Ue, come Spagna (36° posto) e Italia (41°, che è comunque migliorata di 17 posizioni rispetto al 2022).

Come è stilata la classifica?

Il rapporto tiene in considerazione non solo le misure adottate dalle autorità per limitare la libertà di informazione, ma anche la pluralità delle fonti d’informazione e le azioni criminali svolte nei confronti dei giornalisti per metterli a tacere. Ragione per la quale gli Stati Uniti sono scesi di due posizioni dopo l’uccisione di due giornalisti nell’ambito di due diverse inchieste. Lo stesso avviene in Africa in molti Stati.

Si considerano quindi i fattori che possono influenzare l’ambiente per i reporter, come: contesto politico, quadro giuridico, contesto economico, contesto socioculturale e sicurezza.

Perché l’assenza di libertà d’informazione in Africa deve interessarti?

Negli Stati africani, c’è una particolare attenzione alla stampa da parte degli investitori stranieri, che si traduce in un diverso approccio che le potenze globali hanno con gli stessi Stati, dove maggiore trasparenza e attenzione per le realtà locali da parte degli investitori sono figlie di una stampa libera che esercita il suo ruolo anche con il giornalismo d’inchiesta e che rende vigile e informata la pubblica opinione.

Da qui, un criterio da tenere ben chiaro in tutte le politiche di sviluppo. In questi giorni parliamo tanto di “approccio non predatorio” nei confronti dell’Africa, ma il tema centrale è come raggiungere l’obiettivo in un percorso logico spesso inquinato da vecchi e nuovi pregiudizi, che vedono gli africani come ingenui indigeni che cadono vittime dell’avido “occidentale”, dimenticando che i governanti africani sono spesso laureati in quelle che sono considerate le università più prestigiose del mondo, hanno conseguito master in materie economiche e conoscono molte lingue straniere (non solo quindi quelle locali).

C’è da chiedersi, allora, come si possa predarli. La risposta è semplice: facendo accordi sottobanco, dove una parte della remunerazione dell’investimento è dirottata su interessi personali.

È chiaro allora che una stampa libera, diversificata e indipendente, può essere il presidio contro la predazione, non tanto dell’occidentale o del nord del mondo nei confronti del continente africano, ma contro il sordido accordo tra investitore e singoli governanti a scapito delle classi più deboli e meno informate, sempre sacrificate sull’altare del profitto senza scrupoli.

La volatilità dell’indice

Una considerazione finale e generale riguarda la volatilità dell’indice sulla libertà d’informazione, dove i Paesi possono salire o scivolare di molte posizioni nell’arco di un solo anno: spesso questi cambiamenti accadono in seguito di un colpo di stato o per il ritorno alla democrazia, oppure per l’esistenza di una guerra in corso che mette il bavaglio alla stampa e dissemina notizie false.

Proprio la diffusione delle fake news è un tema centrale perché crea disinformazione, come lo stesso segretario generale (Christophe Deloire) di Reporters sans Frontièrs ha sottolineato.

Le notizie false minano alla base l’informazione con una credibilità apparente, anche attraverso la manipolazione d’immagini, resa ardua dall’essere scoperta a causa dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, con i social media che ingigantiscono le voci, dove la calunnia diventa verità semplicemente perché la dicono in tanti (vox populi vox dei), acuendo l’animosità di molti verso i giornalisti, accompagnata spesso dall’aggressione, anche feroce, dei privati e persino delle autorità.

E si sa, quando è difficile distinguere il vero dal falso, la realtà diventa una notte in cui tutti i gatti sono bigi e chiunque può farti credere di avere ragione.

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