Diritti

Libertà di stampa: in 31 Paesi la situazione è “grave”

In occasione del World Press Freedom Day, la ong Reporters sans frontières ha pubblicato il suo indice: sul podio, Norvegia; in ultima posizione, Corea del Nord
Credit: Engin Akyurt
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
3 maggio 2023 Aggiornato alle 15:00

Su 180 Paesi, 31 sono in una situazione “molto grave” per l’informazione e per i giornalisti e le giornaliste che ci lavorano: è il punteggio peggiore mai registrato dal World Press Freedom Index, l’indice diffuso dalla ong Reporters sans frontières in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, di cui ricorre oggi il 30° anniversario. Appena 2 anni fa i Paesi da bollino rosso erano 21.

La ricorrenza vuole ricordare ai Governi il loro dovere di sostenere la libertà di espressione ma, secondo il rapporto la libertà di stampa è in una situazione “molto grave” in 31 Paesi, “difficile” in 42, “problematica” in 55 e “buona” o “soddisfacente” in 52. Significa che la capacità dei giornalisti di pubblicare notizie di interesse pubblico senza interferenze e senza minacce alla propria sicurezza è in pericolo.

Per questo la mappa dell’edizione 2023 del report mondiale è più rossa che mai: in 7 Paesi su 10 l’ambiente in cui si svolge l’attività giornalistica è considerato pessimo, solo in 3 su 10 è adeguato. Secondo l’Unesco l’85% della popolazione mondiale vive in Paesi che hanno registrato un calo della libertà di stampa negli ultimi 5 anni.

Nella classifica dei 180 Paesi e territori del mondo in base alla capacità dei giornalisti di pubblicare notizie di interesse pubblico senza interferenze e senza minacce alla propria sicurezza, la Norvegia è al 1° posto per il 7° anno consecutivo, seguita da Irlanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Olanda, Lituania ed Estonia. Solo queste prime 8 posizioni sono colorate di verde; ovvero, i loro valori in merito agli indici economico, politico, legislativo, sociale e di sicurezza sono molto alti: la prima in classifica ha un punteggio totale di 95,19. L’ultima, la Corea del Nord, è a quota 21,72: la Repubblica popolare democratica, uno dei regimi più autoritari del mondo, “controlla strettamente le informazioni e proibisce severamente il giornalismo indipendente”, spiega il report. Poco più su, il Vietnam (178°) e la Cina (179°). Qui i giornalisti sono spesso sorvegliati, soprattutto quelli che lavorano per testate occidentali.

Molti Paesi sono scesi in classifica, anche a causa di Governi che combattono sempre più una guerra di propaganda: la Russia, per esempio, è al 164° posto e ha perso 9 posizioni. I media statali diffondono la linea del Cremlino, gli organi di opposizione vengono chiusi e i giornalisti arrestati. È accaduto il mese scorso al reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich, il primo giornalista statunitense detenuto in Russia con l’accusa di spionaggio dalla fine della guerra fredda. L’operato della Russia influenza anche gli altri Paesi, in particolare l’Ucraina, al 79° posto: qui i crimini di guerra di Mosca hanno contribuito a darle uno dei peggiori punteggi dell’indice per la sicurezza.

Ad aver subito un grave declino sono stati anche il Tagikistan, l’India e la Turchia. Quest’anno la redazione indiana dell’emittente britannica Bbc ha subito un’incursione da parte dell’agenzia per i crimini finanziari del Paese, in quello che è stato condannato come un atto di intimidazione dopo che un documentario aveva criticato il governo del primo ministro nazionalista indù Narendra Modi.

In Turchia, intanto, in vista delle elezioni del 14 maggio, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha intensificato la persecuzione dei giornalisti in un Paese che li incarcera più di ogni altra democrazia e in cui il 90% dei media nazionali è sotto il controllo del governo.

Nella classifica regionale, il Medio Oriente e il Nord Africa continuano a essere le più pericolose al mondo per i giornalisti, con una situazione “molto negativa” in più della metà dei Paesi che ne fanno parte. In Africa la situazione è ormai classificata come “pessima” in quasi il 40% dei suoi territori. L’Asia-Pacifico continua ad avere alcuni dei peggiori regimi al mondo per i giornalisti.

In America non esiste più un solo Paese colorato di verde sulla mappa: in Messico, il Paese più mortale per i reporter, si moltiplicano le aggressioni ai giornalisti. Proprio ieri un nuovo rapporto pubblicato da Amnesty International ha rivelato che una delle più importanti giornaliste investigative della Repubblica Dominicana, Nuria Piera, è stata hackerata per le sue indagini attraverso uno spyware, Pegasus, prodotto dall’azienda NSO Group. Cosa che sarebbe avvenuta in “almeno 18 Paesi” ai danni di altri giornalisti.

L’Europa, in particolare l’Unione Europea, è la regione del mondo dove è più facile lavorare per i giornalisti, ma la situazione è variabile: Germania al 21° posto, scesa di 5 posizioni; Polonia al 57°, salita di 9 posizioni; Francia al 24°, Grecia al 107°. L’Italia è al 41° posto: qui la libertà di stampa “continua a essere minacciata dalla criminalità organizzata, in particolare nel Sud del Paese, oltre che da vari gruppi estremisti violenti. Questi sono notevolmente aumentati durante la pandemia e continuano a ostacolare il lavoro dei professionisti dell’informazione, soprattutto durante le manifestazioni”.

Ma la settimana scorsa il nuovo report del Committee to Protect Journalists, con sede a New York, ha messo in guardia anche l’Ue, tradizionalmente considerata tra i luoghi più sicuri e liberi al mondo per i giornalisti: il gruppo ha espresso preoccupazione per l’aumento del populismo e per i Governi illiberali come quello ungherese e polacco che calpestano il diritto di informazione.

A minare il mondo dei media e il diritto all’informazione, secondo il rapporto, sono anche gli strumenti di intelligenza artificiale che “digeriscono i contenuti (sia testuali che visivi, ndr) e li rigurgitano sotto forma di sintesi che si fanno beffe dei principi di rigore e affidabilità”.

Per cercare di promuovere il diritto all’informazione e la libertà di stampa, però, qualcosa si può fare: Mark Rice-Oxley, l’executive editor per i lettori del Guardian, spiega che “non è mai stato così facile, per tutti, aiutare. Abbonarsi, contribuire, fare donazioni o sostenere in altro modo il lavoro di giornalisti e redattori che vogliono dire al pubblico la verità, chiedere conto al potere, opporsi all’oppressione e alla censura”. In questo modo, “la democrazia sarà più sana”.

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