Diritti

Iraq: Human Rights Watch lancia l’allarme per i matrimoni precoci

Ogni anno i leader religiosi celebrano migliaia di unioni non riconosciute dalla legge, anche tra minori: alcune bambine non hanno nemmeno 10 anni
Credit: Ali Iraq 
Tempo di lettura 5 min lettura
12 aprile 2024 Aggiornato alle 12:00

In base agli standard internazionali sui diritti umani, le donne e le ragazze hanno il diritto di vivere libere dalla violenza fisica, mentale, sessuale e da discriminazioni; stando invece al Patto internazionale sui diritti civili e politici, deve essere garantito il diritto al libero e pieno consenso al matrimonio e alla registrazione delle nascite.

Ora, nonostante l’Iraq aderisca, dal 1971, al Patto internazionale sui diritti civili e politici e, dal 1994, alla Convenzione sui diritti del fanciullo, nel Paese sono ancora celebrati matrimoni precoci, una pratica che sembra essersi addirittura consolidata negli ultimi 20 anni. A confermarlo, il report di Human Rights Watch che denuncia come ogni anno in Iraq i leader religiosi celebrino migliaia di matrimoni al di fuori dei tribunali, e quindi matrimoni non registrati. Un escamotage che spesso le famiglie scelgono per aggirare i requisiti di matrimonio previsti dalla Legge irachena del 1959 sullo status personale, permettendo così matrimoni che davanti per legge non sarebbero validi, come a esempio quelli poligamici o i matrimoni forzati e precoci.

Nonostante si ricorra ai matrimoni non registrati per varie motivazioni, stando ai dati raccolti da Hrw, nella maggior parte dei casi le spose hanno meno di 18 anni. Riguardo ciò, è interessante citare anche lo studio Common Country Analysis del 2021 delle Nazioni Unite in Iraq che, già qualche anno fa, registrava come il 22% dei matrimoni al di fuori dei tribunali avesse coinvolto ragazze di età inferiore ai 14 anni; tuttavia, riporta Hrw nel suo report, in passato sono emersi anche casi di leader religiosi che hanno autorizzato matrimoni di bambine di appena 9 anni. Da queste ricerche appare evidente come i matrimoni precoci riguardino bambine ancora nella fase della pubertà: si può dunque parlare del terribile fenomeno delle spose bambine.

Una pratica che per la donna e gli eventuali figli della coppia porta con sé conseguenze devastanti. Non essendo infatti il matrimonio precoce né riconosciuto né valido, le donne e le ragazze vittime vedono sottrarsi alcuni diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute. Per poter partorire in ospedale è infatti necessario dimostrare di essere sposate in tribunale e, per questo, molte ragazze sono costrette a partorire in casa, aumentando il rischio di avere complicazioni durante il parto, mettendo a serio repentaglio la loro vita e quella del loro bambino. Inoltre in caso di divorzio o violenze (ma non solo) queste giovani spose non dispongono di alcuna protezione legale. Difficile è anche la condizione dei figli, a cui spesso viene negata la consegna dei documenti di identità e, di conseguenza, la possibilità di istruirsi e di inserirsi nella società.

Da quanto detto fino a ora, si può dunque concludere che per le ragazze i matrimoni precoci includono: un aumento dei rischi di violenza sessuale, morte durante il parto, danni alla salute mentale, rischio di suicidio e l’esclusione dall’istruzione, nonché una vita ai margini e senza tutele per i loro figli. «Non avere documenti influisce sulla mia salute mentale. Non posso andare da nessuna parte e non mi sento mai al sicuro» ha riferito la figlia di una sposa bambina a Hrw.

A far luce su questa pratica è anche Girls not Bride: per quanto riguarda l’Iraq, sebbene i dati disponibili siano limitati, il portale evidenzia come i matrimoni precoci (e forzati) sono un problema crescente per le ragazze sfollate irachene che vivono nelle comunità di rifugiati in Iraq, perché lo sfollamento ha esacerbato il traffico di donne e ragazze a scopo di sfruttamento sessuale. Non a caso, tra le cause principali che portano ai matrimoni precoci c’è anche lo sfollamento, dato confermato anche dall’European Union Agency for Asylum (Euaa).

Ovviamente, però, non è l’unica causa: anche un basso livello di istruzione, povertà, religione e l’onore per la famiglia (in quanto avere in casa una ragazza non sposata è sinonimo di vergogna) influiscono e agevolano queste pratiche.

Oltre alle spose bambine in Iraq sono diffuse altre leggi tribali in cui le donne vengono denigrate e trattate come merce di scambio, usanze che, per quanto siano criminalizzate nella Legge sullo status personale, raramente vengono denunciate dalle vittime. Tra queste, ribadisce sempre l’Euaa, sono la fasliya, la nahwas.

La fasliya (“arbitrato” in arabo) indica lo scambio di una donna o di un bambino per risolvere controversie tra le comunità. La nahwas, invece, viene utilizzata per impedire a una donna di sposare un altro uomo: viene quindi posto un veto, di solito dallo zio, per proibirle di sposare una persona diversa dal cugino.

Tra le aree in cui si registra una maggiore diffusione del matrimonio precoce, riporta Girls not Bride: il governatorati di Missan (35%), Bassora (31%), Karbala (31%), ma anche il Kri (Governo Regionale del Kurdistan) e le zone rurali. In queste aree continuano a verificarsi in gran numero matrimoni precoci e forzati. Tutto ciò fa capire come le donne e i minori siano le prime persone a pagare le conseguenze delle crisi in territori politicamente instabili.

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