WeWorld: «650 milioni di donne obbligate a sposarsi prima dei 18 anni»
L’infanzia è un diritto. Eppure, a migliaia di bambine e bambini in tutto il mondo questo diritto viene sistematicamente negato. Salute, parità di trattamento, protezione da abusi e sfruttamento, istruzione, ascolto: nel 1989 la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia dell’Assemblea delle Nazioni Unite ha stabilito che famiglie e istituzioni devono garantire ai più piccoli sopravvivenza, sviluppo, protezione e partecipazione.
Ci sono delle famiglie, però, che non solo non proteggono le loro figlie (e talvolta i loro figli) ma che le espongono volontariamente (per convinzioni culturali o religiose di tipo patriarcale, necessità economiche e disuguaglianze di genere) alla violazione dei loro diritti umani e del loro diritto all’infanzia. Sono quelle che obbligano le bambine, spesso giovanissime, a contrarre matrimoni forzati e precoci.
Di questo fenomeno, che riguarda ogni anno 12 milioni di ragazze che rischiano di diventare “spose bambine”, e soprattutto delle strategie per contrastarlo, ne ha parlato a La Svolta Stefania Piccinelli, Head of International Programs di WeWorld Onlus, l’organizzazione indipendente italiana che da 50 anni si impegna per garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi.
Quali matrimoni sono considerati “precoci e forzati”? In che modo sono diversi dai matrimoni combinati?
Per matrimoni precoci forzati si intendono tutti quei matrimoni in cui una o entrambe le parti sono minorenni e non hanno dato il loro consenso all’unione. Seppur i matrimoni precoci forzati siano una pratica molto diffusa anche tra i ragazzi, ragazze e bambine ne sono maggiormente colpite. I matrimoni combinati invece sono destinati alle persone maggiorenni e i genitori hanno un ruolo di guida alla scelta ma, in ogni caso, gli interessati hanno la possibilità di esprimere il proprio consenso.
Quante bambine – e bambini – ne sono vittime nel mondo? Quali sono le zone in cui sono più diffusi? Può darci qualche dato per inquadrare il fenomeno nelle sue dimensioni reali?
A oggi, in tutto il mondo, 650 milioni di donne sono state obbligate a sposarsi prima dei 18 anni e 10 milioni di ragazze sono a rischio di contrarre un matrimonio precoce forzato. In situazioni di povertà, conflitti armati e disastri climatici, molte bambine e ragazze sono costrette a sposarsi. Infatti, è proprio nei contesti maggiormente colpiti da questi fenomeni che si registrano i più alti tassi di matrimoni precoci forzati: in Africa Occidentale e Centrale, il 12% delle ragazze tra i 20 e i 24 anni si è sposata prima dei 15 anni; in Africa Orientale e Meridionale il 9%, mentre in Asia Meridionale il 7%.
Quali sono le motivazioni delle famiglie che costringono le loro figlie e talvolta i loro figli, spesso giovanissimi, a sposarsi senza il loro consenso? È un fenomeno legato più a motivazioni di tipo economico o culturale?
I matrimoni precoci forzati sono un coping mechanism (meccanismo di reazione), ovvero uno strumento a cui ricorrono le famiglie per far fronte a condizioni di fragilità e incertezza. Dare una figlia in sposa è dunque spesso è una strategia di sopravvivenza per le famiglie più povere. Questo fenomeno è peggiorato da conflitti che iniziano e non finiscono mai, dalla crescente povertà e dai cambiamenti climatici che rendono ancora più instabili le economie familiari precarie.
Quali sono le conseguenze di questi “matrimoni senza sogni” sulle bambine che sono costrette a contrarli?
L’imposizione di ruoli di genere e di rigide norme patriarcali, come essere obbligate a sposarsi precocemente, non solo non permette a bambine e ragazze di esercitare il proprio diritto all’educazione e al lavoro, ma incide fortemente anche sulla costruzione della loro identità, sul loro futuro e sui loro sogni, poiché le porta a percepirsi unicamente nei ruoli di mogli e madri. Queste esperienze, infatti, possono alimentare il fenomeno che prende il nome di dream gap, traducibile come “divario dei sogni”. Il dream gap indica quei casi in cui ragazze e bambine, a causa delle discriminazioni di genere, arrivano a dubitare delle proprie capacità e sono spinte inconsapevolmente a scegliere “al ribasso”, a evitare di sognare in grande.
Cosa si intende quando parliamo di “emergenza educativa”? In che modo è collegata al fenomeno dei matrimoni precoci e forzati?
Come conseguenza dei matrimoni forzati, le ragazze sono costrette a interrompere la propria educazione, diventano più vulnerabili alla violenza, alla discriminazione e agli abusi, e hanno minori possibilità di partecipare attivamente alla vita economica, politica e sociale. Inoltre, le gravidanze precoci rappresentano un rischio per la salute delle donne, presentando, spesso, tassi di morbilità e mortalità materna superiori alla media.
Quali sono le azioni concrete da mettere in atto per contrastare un fenomeno come questo, che ha radici sociali e culturali così profonde?
Un fattore protettivo e preventivo fondamentale per i matrimoni precoci forzati è rappresentato da un’educazione sicura e di qualità. Il matrimonio precoce riduce le prospettive di educazione per le ragazze, mentre, al contrario, migliori opportunità di educazione possono ridurre la probabilità di essere costrette a sposarsi presto. L’educazione, inoltre, è anche il principale strumento per promuovere ed esercitare una cultura della parità di genere, andando ad agire sugli stereotipi che limitano le ambizioni e le possibilità di molte ragazze e donne, e contrastando il gender dream gap: è attraverso l’educazione, infatti, che bambine e ragazze hanno la possibilità di immaginare e sognare le sé del futuro, e di sviluppare tutto il proprio potenziale.
È importante anche implementare campagne di sensibilizzazione – anche porta a porta - per far capire a capi villaggi l’importanza della scuola; lavorare con le mamme (quando le donne e le mamme raggiungono autonomia economica riescono a creare un impatto positivo su tutta la comunità, a partire dalle loro famiglie); lavorare sulle cause: se in molti casi il motivo dei matrimoni precoci e forzati è la povertà e l’incapacità di sfamare tutta la famiglia, dobbiamo intervenire sulla povertà, per questo aiutiamo le famiglie anche con progetti di sviluppo economico.
Quali sono i progetti di WeWorld nati per contrastare il fenomeno delle “spose bambine”? Quali risultati avete ottenuto finora?
WeWorld si impegna a promuovere e proteggere il diritto all’Educazione di bambine e ragazze in tutto il mondo, soprattutto nei contesti più fragili: facciamo parte della rete ChildFund Alliance, che supporta bambini, bambine e le loro famiglie a contrastare la povertà e a poter sviluppare tutto il proprio potenziale; della coalizione Campagna Globale per l’Educazione, con la quale abbiamo chiesto all’Italia di difendere e promuovere il diritto all’Educazione anche in contesti di emergenza e crisi protratte, attraverso un primo contributo di almeno 15 milioni di euro (3,75 l’anno) totali per i prossimi 4 anni a Education Cannot Wait, il fondo globale delle Nazioni Unite per l’istruzione nelle emergenze e nelle crisi protratte. Solo nel 2021, Ecw ha raggiunto 3,7 milioni di bambini, bambine e adolescenti in 32 Paesi colpiti da crisi (di cui il 48,9% ragazze).
Raggiungere questo obiettivo di finanziamento significa che, nei prossimi quattro anni, Ecw potrà sostenere un totale di 20 milioni di bambini, bambine e adolescenti con un’istruzione di qualità, di cui 12 milioni sono bambine e ragazze.
WeWorld ha un progetto in Tanzania attivo dal 2010. Può spiegarci perché avete scelto di operare in questo Paese e di che tipo di interventi vi occupate per garantire il diritto all’infanzia di bambine e bambini?
WeWorld lavora in Tanzania da oltre 13 anni, a partire dal 2010, nelle regioni di Njombe, Tanga, Mtwara e Dar es Salaam. I nostri interventi nel Paese si concentrano su educazione, servizi igienici e sanitari, protezione, difesa dei diritti dei bambini, delle bambine e delle donne, e coinvolgimento delle comunità. La Repubblica Unita di Tanzania si colloca nella parte orientale dell’Africa e ha 63 milioni di abitanti il 30 % dei tanzaniani vive al di sotto della soglia di povertà. Spesso in Tanzania i bambini e le bambine non hanno accesso a un’istruzione adeguata. Le infrastrutture scolastiche sono in pessime condizioni: le aule sono sovraffollate, con una media di 99 studenti in ogni classe, il materiale didattico manca o è di scarsa qualità. La formazione stessa del personale scolastico è inadatta. Anche il sistema di gestione degli istituti scolastici è poco organizzato e non prevede una collaborazione con le famiglie e la comunità: questo rende difficile identificare e tutelare adeguatamente i bambini vittime di violenza, e in generale i soggetti più vulnerabili. In Tanzania i giovani vittime di abusi sessuali e violenza - che spesso avviene all’interno della scuola - non ricevono un’assistenza adeguata. La violenza fisica è molto radicata nelle tradizioni, nella cultura e nelle norme del Paese, e pratiche quali le punizioni corporali sono comuni e accettate sia nell’ambiente domestico che a scuola.
WeWorld sostiene i bambini e le bambine che hanno sofferto abusi tramite assistenza legale, psicologica e medica. Abbiamo realizzato azioni di ricongiungimento famigliare, empowerment delle vittime, oltre che campagne di sensibilizzazione, eventi all’interno delle comunità volti ad aumentare la consapevolezza riguardo i diritti dell’infanzia, con lo scopo di prevenire la violenza. Inoltre interveniamo a favore di bambine e bambini, realizzando progetti che mirano a garantire un’istruzione universale e di qualità. Abbiamo rimodernato le aule, costruito acquedotti all’interno delle scuole, distribuito sedie, banchi, cattedre e lavagne, ma anche materiale didattico, come libri di testo. Abbiamo organizzato corsi e workshop di formazione per insegnanti e genitori su tematiche della didattica, i diritti e la protezione dei bambini, la salute sessuale e riproduttiva.