Diritti

Kenya e il servizio sanitario nazionale: la tassa occulta delle gestioni statali allegre

Mentre le assunzioni di nuovi medici sono bloccate, chi è in servizio sciopera per gli stipendi inadeguati. Così i cittadini pagano il prezzo di scelte governative discutibili
Intern doctors and medical practitioners rally during a protest against the government's failure to hire intern doctors and demanding better working conditions including permanent employment, in Nairobi, Kenya, 09 April 2024
Intern doctors and medical practitioners rally during a protest against the government's failure to hire intern doctors and demanding better working conditions including permanent employment, in Nairobi, Kenya, 09 April 2024 Credit: EPA/Daniel Irungu 
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14 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Mentre in Italia discutiamo delle carenze del nostro Servizio Sanitario Nazionale, penalizzato da anni di tagli, quanto accade in Kenya ci conferma il vecchio adagio popolare che “tutto il mondo è paese” a significare che i pregi e purtroppo i vizi si ripetono a ogni latitudine e longitudine del mondo.

Ma cosa sta succedendo? Abituati a confrontarci con le realtà dell’Africa subsahariana secondo lo stereotipo della penuria di cibo, medicine e medici, scopriamo che in Kenya i giovani dottori non trovano impiego e stanno protestando per questo. E chi un lavoro ce l’ha si lamenta perché è pagato in ritardo anche di mesi.

I fatti parlano chiaro: l’associazione nazionale dei medici ha proclamato lo sciopero nazionale perché gli stipendi nelle strutture pubbliche non sono pagati da mesi, mentre l’accesso dei nuovi medici appare bloccato, con il logico corollario di disservizi di cui i pazienti sono i primi a farne le spese.

Com’è possibile? Sebbene il Kenya sia un paese attento all’istruzione in genere e allo sviluppo professionale del personale medico in particolare (lo stato si impegna in linea di principio ad assicurare il tirocinio professionale a giovani medici entro un mese dal conseguimento della laurea), le politiche d’investimento eseguite negli ultimi anni, in particolare dal precedente presidente Kenyatta, non sembrano essere state adeguatamente valutate e hanno dirottato gran parte delle risorse dello stato al pagamento degli interessi dovuti sul debito pubblico lievitato a dismisura.

In questo caso la causa principale è stata la sirena del project financing pubblico: si realizza a debito un’infrastruttura che teoricamente si dovrebbe ripagare da sola attraverso pedaggi o la vendita di biglietti e poi lo stato si trova a colmare con le casse pubbliche l’errore - non si sa quanto accidentale - nelle previsioni di gettito, sempre meno rosee nella realtà di quanto stimato a tavolino.

E quando il debito pubblico lievita a farne le spese è il welfare statale.

Il risultato è il taglio della spesa sanitaria che si esplica in minore personale medico impiegato, turni massacranti e assenza di strutture.

E così il Kenya ci insegna con questo caso almeno due cose. La prima è che quando parliamo di Africa dovremmo sempre ricordare che è un continente vasto e variegato in cui vi sono contrapposizioni estreme. Capita quindi che mentre la Nigeria accusa la carenza di medici, il Kenya registra un esubero: un esubero amaro, dal momento che la popolazione avrebbe bisogno dei medici che ha ma non vi sono sufficienti posti remunerati.

L’altra lezione è che il debito statale lo pagano i più deboli, in Kenya come in Italia. Come in Kenya schiacciato dal costo dei debiti, anche nel nostro paese, a causa anche di un’evasione mai davvero contrastata e un debito pubblico alle stelle, si tagliano i costi dove il ventre è più molle: scuole, sicurezza e servizi sanitari.

E così tasse male spese e non pagate portano a una riduzione dei servizi essenziali con i risultati che purtroppo tutti noi affrontiamo quotidianamente con attese che sono vere condanne a morte per coloro che hanno bisogno di cure urgenti e tempo non ne hanno.

Ecco la tassa occulta di tanti stati: l’assenza di servizi primari.

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