Culture

Quanto rosicano questi uomini scrittori

Le classifiche di vendita della narrativa vedono sempre più spesso ai primi posti libri scritti da donne. La risposta? Fa cadere le braccia
Credit: Megan Ruth
Silvio Sosio
Silvio Sosio lead developer
Tempo di lettura 6 min lettura
16 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Alla fine degli anni ‘70, nell’allora vibrantissimo mondo della narrativa di fantascienza, l’epoca in cui venivano alla luce autori come James Ballard, Philip Dick e Harlan Ellison, colpì l’esordio di un nuovo autore, James Tiptree jr., che in pochi anni mise a segno una serie di racconti dirompenti, nuovi, brillanti.

Robert Silverberg, allora uno dei recensori più preparati, commentando entusiasticamente uno degli scritti di Tiptree, che si sapeva essere uno pseudonimo ma la cui reale identità restava segreta, affermò che l’unica cosa certa che si potesse dire su questo autore era che si trattasse di un uomo.

Immagini già come andò a finire: fu solo nel 1976, alla morte della madre, che James Tiptree rivelò, più o meno involontariamente, la sua identità. E naturalmente era una donna, Alice Sheldon.

È passato mezzo secolo, la presenza delle donne nella letteratura e in generale nel mercato librario è più che mai consolidata, e ci troviamo ancora a leggere articoli che fanno affermazioni tipo: “La differenza tra autori e autrici è in ciò, che i primi frequentano più generi, perlopiù il thriller, mentre le seconde si sono ancorate a uno solo: appunto il romance”. La perla è tratta dall’articolo di Gianni Bonina pubblicato qualche giorno fa sulla rivista online Doppiozero e ha naturalmente scatenato una valanga di critiche nell’ambiente letterario italiano.

Non è il primo attacco alle donne scrittrici, anzi segue di pochi giorni l’articolo di Camillo Langone (che nel curriculum ha anche la famosa teoria secondo cui le donne non devono studiare ma fare più figli) secondo il quale ora che “hanno occupato le case editrici” le donne non hanno più nulla da dire e sarebbero incapaci di scrivere con una voce che non sia un’eco di qualcos’altro.

Ma torniamo al romance perché è un argomento interessante. Lo stigma sul genere romance è una piaga di vecchia data, e non ci stancheremo mai di ripetere che il valore di un’opera non dipende dal genere. Ci sono romance dozzinali e ci sono gemme, così come ce ne sono nel giallo, nel thriller, nel romanzo di formazione o in qualunque altra opera umana. “Il 90% di tutto è spazzatura”, rispose una volta lo scrittore Theodore Sturgeon a un critico che affermava che il 90% della narrativa di fantascienza non valesse nulla. Il compito dei critici dovrebbe essere scoprire e segnalare ciò che fa parte del 10% restante, non imbastire pericolanti generalizzazioni.

Per chi non fosse al corrente delle varie classificazioni di genere, romance è un genere di narrativa in cui predomina l’aspetto romantico. Due regole sono fondamentali, per riconoscere un romanzo così: la storia d’amore deve essere al centro della trama e deve esserci un lieto fine. Nulla impedisce naturalmente che un romance possa essere anche un giallo, un romanzo storico o un fantasy. I generi letterari (ahimè, concetto questo poco considerato tra i fan dei vari generi) non sono esclusivi e spesso convivono nella stessa opera.

Ma attenzione, questo non significa che ogni romanzo in cui c’è una storia d’amore sia un romance. Significa, tendenzialmente, che racconta una storia in cui sono presenti esseri umani, ai quali capita con una certa frequenza di avere storie d’amore. Così come un romanzo in cui sono descritte scene di sesso non è per forza erotico, un romanzo in cui c’è un delitto non è per forza un giallo e un romanzo ambientato in un’altra epoca non è per forza un romanzo storico.

D’altra parte, quando leggiamo che secondo Bonina la saga dei Florio di Stefania Auci sarebbe una storia romance, viene il sospetto che la sotto-trama romantica salti al naso proprio perché l’autrice è donna. Se si innamora Marlowe insomma è un giallo, ma se dovesse accadere a Poirot sarebbe subito romance.

Crediamo di capire quale sia il vero senso della frase riportata sopra: se un uomo scrive un romanzo in cui c’è una storia d’amore può essere un genere qualsiasi, se lo stesso romanzo l’ha scritto una donna va catalogato come romance.

Va benissimo, basta intendersi. Resta un piccolo problema di cui forse Bonina non è a conoscenza: il genere romance, quello vero, anche pubblicato nelle collane ad hoc, è pieno di autori uomini. A volte sotto pseudonimo, a volte no. Mi sa che lì il suo schemino incontri qualche problema.

Ma il mondo va avanti e nuove polemiche stanno già infiammando. È stata resa nota la dozzina di semifinalisti al Premio Strega e da lì sono fiorite discussioni a iosa: dal numero di libri che i giurati avrebbero dovuto leggere in un solo mese, ben 82, con la difficile scelta tra essere trasformati in zombie dopo trenta giorni senza sonno o in tanti sangiuliani che votano dopo aver letto solo la quarta di copertina, al numero di copie vendute, forse per errore, forse volutamente, diffuse insieme ai titoli e che hanno mostrato in modo drammatico quanto poco venda il libro in Italia.

In particolare l’opera di Melissa Panarello, salita in cima a ogni classifica di vendita 20 anni fa col 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire e ora in libreria con Storia dei miei soldi. Libro che la suddetta classifica accreditava di misere 401 copie vendute (abbiamo verificato e un mese dopo sarebbero 525), e che è stato al centro di una polemica con un altro scrittore, Fulvio Abbate.

Abbate getta palate di fango sul premio stesso e le sue scelte, anche se i titoli che sembrano infastidirlo sono soprattutto quelli di donne (Chiara Valerio, Valentina Mira e, appunto, Melissa Panarello). La cosa curiosa è che Abbate è da decenni uno dei pre-giurati dello Strega (chiamati “Amici della domenica”), capovolgendo la famosa battuta di Groucho Marx «non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me». Lui del club ne fa parte, ma evidentemente si considera diverso dagli altri.

In tutto ciò non ci resta che concludere con un’altra battuta dell’immortale Groucho: «Dal momento in cui ho preso in mano il libro, fino a quando l’ho rimesso a posto, non ho smesso di ridere per un solo momento. Un giorno ho intenzione di leggerlo.»

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