Bambini

Baby influencer, i Ferragnez cambiano idea: una lezione da imparare

Dopo anni di condivisioni, i volti di Leone e Vittoria non appaiono più sui profili dei genitori. Al di là di possibili pressioni reciproche, sembra che il re e la regina dei social abbiano capito che privacy e libertà di scelta valgono molto più di qualche foto
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22 marzo 2024 Aggiornato alle 16:00

I volti di due dei bambini più social d’Italia, Leone e Vittoria “Ferragnez” non compaiono più nei contenuti che i genitori condividono online. Un’inversione a “U” rispetto a una “linea editoriale” (quella di esporre le foto di entrambi i bimbi fin dai primi momenti di vita e, poi, renderli parte integrante della narrativa social della famiglia) che ha, sin dall’inizio, fatto discutere e che i due genitori, in passato, avevano, a più riprese, difeso con eguale determinazione.

Sui social e sulla stampa impazzano le analisi di psicologi, esperti di comunicazione e avvocati sulle ragioni alla base di questo improvviso cambio di rotta. Per qualcuno sarebbe la prova della separazione in corso giacché per postare online la foto di un bambino serve il consenso di entrambi i genitori.

Naturalmente è possibile. Non si può escludere che uno dei due abbia detto “no” a una pratica pure sin qui condivisa, facendo venir meno le condizioni per proseguirla. Ma, tutto sommato, le ragioni alla base della scelta contano poco purché, come purtroppo talvolta accade, i due bambini e la loro immagine social non siano finiti nel tritacarne che accompagna alcune separazioni e diventati oggetto di reciproche pressioni e ripicche.

Ciò che conta di più è la morale che da questa storia, con un po’ di buona volontà, potremmo e, forse, dovremmo trarre.

I Ferragnez, negli ultimi mesi, prima lei, poi entrambi, complice la separazione, hanno sperimentato sulla loro pelle le conseguenze della sovra-esposizione social e mediatica: quando avrebbero avuto bisogno e avrebbero voluto riconquistare un po’ di privacy e intimità non ci sono riusciti e si sono ritrovati drammaticamente costretti a subire la violenza (perché di questo si tratta) di media, social e gente comune incapace di accettare l’idea e di rassegnarsi alla regola secondo la quale, anche un personaggio pubblico, ha diritto a rivendicare la sua privacy, che si attenua ma non si azzera mai o, almeno non dovrebbe.

E però, a prescindere dalle regole, la realtà (amara ma sin qui indomabile) è che l’esposizione social non è una lampadina che si accende e si spegne a comando o una porta sulla propria vita che si apre e chiude nell’istante in cui lo si vuole ma una condizione che, inesorabilmente, per quanto si ritenga di esser bravi (e magari lo si è davvero) a gestire la propria immagine social a un certo punto sfugge di mano, si sottrae al controllo del singolo, per diventare un affare pubblico.

Questa esperienza, per chi la subisce, è tremenda quanto e, forse, più di una violenza fisica anche se ci si chiama Ferragnez, anche se si hanno le spalle larghe di adulti che hanno navigato i social per anni, anche se si dispone di risorse più o meno infinite per difendersi da certe aggressioni alla propria intimità.

A dispetto di secoli di battaglie di civiltà, per i più, in questi casi, l’unica regola diventa quella del “potevano pensarci prima, non glielo ha prescritto il medico di mettere in piazza la loro vita”.

Ovviamente è una regola feroce, sbagliata, priva di qualsiasi fondamento e incivile ma è quella che, in questi casi, guida le folle che, in un modo o nell’altro, dettano la dieta mediatica. E se così stanno le cose per gli adulti e navigati Ferragnez, figurarsi per due bambini. E guai a illudersi che sui social o sulla più parte dei media viga un codice etico o d’onore per il quale i bambini vanno sottratti alla medesima regola del “potevano pensarci prima”. È un classico caso nel quale le colpe (se di colpe può parlarsi) dei genitori ricadono sui più piccoli.

Ecco, forse, Chiara Ferragni e Fedez (insieme, uno prima dell’altro, o solo uno dei due) dopo aver vissuto l’aggressione che stanno vivendo sono arrivati alla conclusione che la privacy, l’intimità, la dignità e la libertà dei loro figli, valgono di più di qualche foto, video e post condiviso con i loro followers e che, quindi, è arrivato il momento di provare a restituire almeno ai figli ciò che loro hanno, probabilmente, perduto per sempre: la libertà di scegliere cosa delle loro vite rendere pubblico e cosa mantenere privato.

E se così fosse sarebbe un esempio da correre a imitare senza perder tempo a discutere della sua tardività. Perché se la coppia più social d’Italia arriva a una conclusione del genere dopo aver fallito nel tentativo di controllare e arginare un fenomeno (come la loro popolarità) autonomamente e scientificamente creato in laboratorio pur disponendo delle risorse delle quali dispongono, da genitori, non c’è da illudersi di esser più bravi e di poter effettivamente mantenere il controllo sulla sovra-esposizione dei propri figli.

Il rischio è un po’ quello dell’illusione che normalmente accompagna le grandi dipendenze: smetto quando voglio. Salvo poi rendersi conto che non è così. Una volta consegnati i nostri figli all’agone social, una volta trasformatili in trofei da esibire (non importa con quanto autentico orgoglio genitoriale) o, peggio ancora, una volta resili baby influencer, il dado, con poche eccezioni, è tratto, la loro libertà e il loro diritto all’intimità è barattato per sempre con una qualsiasi delle monete effimere che si scambiano online.

Qui vale la pena di fugare ogni ambiguità e sottrarsi al rischio di qualsiasi equivoco. Le regole ci sono, gli strumenti per farle valere anche, il sistema integrato di protezione pubblico e privato funziona (anche se ovviamente potrebbe funzionare meglio) ma nulla di tutto ciò è in grado di garantire a un bambino sovra-esposto nella dimensione social il recupero effettivo del più sacro di tutti i diritti: quello di ciascuno di noi di scegliere cosa tenere per noi e cosa condividere con il mondo.

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