Diritti

Madre natura e il bambino oggetto

La donna che ha messo al mondo il bambino di Modica è in attesa di processo. Che potrebbe chiudersi con una condanna e quel bambino, prima strappato alla propria famiglia, potrebbe essere condannato anche lui a vivere il carcere
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 6 min lettura
20 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

C’è un bambino che è nato a Modica, tre anni fa. Nasce in casa, come si faceva una volta, quando le cose erano più facili, dicono, come per esempio nascondere qualcosa.

In questa casa, la donna che lo partorisce chiama l’ex compagno.

Lui - che ha una figlia con un’altra donna - prende il bambino, lo poggia in un sacchetto e inscena un ritrovamento davanti al negozio in cui lavora. Chiama i soccorsi, che portano il neonato in ospedale già in condizioni critiche.

Per fortuna il bambino si riprende bene e, passati 20 giorni, viene affidato in preadozione a una famiglia fuori dal territorio provinciale.

L’uomo è stato condannato in primo grado in abbreviato a due anni di reclusione per abbandono di minore. La donna è accusata dello stesso capo, con il processo ancora in corso e la prossima udienza fissata al 9 febbraio 2024.

Ora però la donna sostiene che non voleva abbandonare quel bambino, che l’aveva semplicemente affidato all’uomo per portarlo in ospedale e, per questo, ha chiesto l’annullamento della dichiarazione di adottabilità del neonato. Il prossimo 28 dicembre il bambino ritornerà dalla donna che l’ha partorito.

Proverò a non essere giudicante e ammetto fin da ora che non so se ci riuscirò.

Perché questa è una storia di dolore e il centro pulsante di questo dolore sta dentro al corpo di un bambino di tre anni. Non voluto, lasciato quasi in fin di vita dentro a un sacchetto, disconosciuto, abbandonato. A cui le persone che l’hanno concepito hanno inflitto una sofferenza troppo grande per chiunque, figurarsi per chi ha poche ore di vita.

Questo corpo, completamente inerme, in qualche modo verrà salvato dai medici che si sono presi cura di lui. E piano piano per lui la vita diventerà meno atroce di come era iniziata.

Se fossimo scaraventati nel mondo senza che nessuno si prendesse cura di noi andremmo tutti incontro a morte certa.

Per questo, sono convinta che famiglia sia una parola difficile da usare se il nutrimento necessario non arriva subito, o non arriva mai. Quante storie di famiglie assolutamente disfunzionali conosciamo, se ci guardiamo intorno: se non è la nostra, è di certo quella di un’amica, di un conoscente, di una collega di lavoro. Quanto dolore sta dentro quelle mura semantiche, quanta sofferenza.

E così, per analogia, anche “padre” e “madre” si portano dietro lo stesso carico di responsabilità e aprono a interrogativi spesso più feroci di quando vorremmo credere.

Cos’è che fa una madre?

Se penso a me stessa rispondo in un modo, attingendo a immaginari precisi, se penso alla mia, di madre, non ho parole gentili. Da tempo sappiamo che “madre” e “famiglia” esulano dal dato biologico, dal sangue. Eppure, ancora una volta, ci ricuciamo attorno agli stessi punti di sutura, riportando il centro retorico al corpo che genera, non a quello che cura e fa crescere.

Ho letto del bimbo di Modica attraverso i giornali, i gironi infernali delle decisioni giudiziarie. Gli errori, le tutele mancate, lo scaricabarile di colpe. In questa vicenda mi sembra manchi lo stesso nutrimento che rende immuni certi nuclei dall’esser famiglia: la cura e il pensiero per i bambini. Perché forse è questa l’unica cosa che fa una madre, un padre. Non avrai pensiero altro che non sia per il mio bene.

Eppure, di questo pensiero non ravviso traccia se non nell’eterna ossessione che abbiamo per gli uteri. Ci interessano come proclami, perché è da lì che si spiegano le famiglie. Chi è figlio di chi - in certe parti d’Italia si dice chi appartiene a chi.

E se appartieni allora sei, perché di converso chi genera ti fa appartenere e se tutto funziona ti nutre, ti cura, ti protegge.

Ma quale appartenenza invece crea chi genera soltanto e non cura, non ama, non scalda e non ripara? Di chi è figlio un figlio nel mondo se nessuno lo ama?

Io non so come si faccia a essere così sicuri della vita, a parlare senza ombre nella voce quando si tratta di parlare delle vite che non dipendono solo da loro stesse.

Eppure, sono piuttosto certa che i figli sono di chi se ne prende cura, di chi appiccica un cerotto su un ginocchio sbucciato, di risate saltando nelle pozzanghere, di cento e centomila storie della buonanotte inventate sul momento, perché qualcuno ha deciso che quelle che stanno dentro i libri le conosce già. Del tempo, lungo, passato tra piccoli e infinitesimali dettagli di vita ordinaria e banale, prima che di grandi drammi o grandissime felicità.

I bambini sono sempre persone finite, anche se necessitano di chi li protegga. E questo, mi dispiace dirlo, la grande e decantata “famiglia tradizionale” dove i ruoli sono incredibilmente definitivi non lo sa o non leggeremmo ciò che ogni giorno leggiamo sui giornali, spesso dentro alla sezione di nera.

Penso perciò che sia pericolosissimo ridurre al grembo una vita altra e decidere a partire da quella adesione di concetti.

La donna che ha messo al mondo il bambino di Modica è in attesa di processo. Non posso far altro che pensare che esista la possibilità che quel processo si chiuda con una condanna e che quel bambino, prima strappato alla propria famiglia, sia successivamente condannato anche lui a vivere il carcere.

È cosi che “pensiamo ai bambini”? Anche non dipingendo il peggiore degli scenari, stiamo davvero immaginando una vita che contempli la rimozione coatta della serenità che può dare la tua scuola materna, il tuo parco giochi, i tuoi amichetti, il tuo lettino, i pupazzi che tieni nella tua cameretta?

Stiamo davvero gestendo questa vita come gestiremmo il travaso di una pianta?

Mi pare che l’unico dato certo sia questo: così come in tutti i casi in cui i bambini sono al centro, non ci sono mai per davvero. È così con la retorica antiabortista, con quella della gestazione per altri, persino quando si cerca di dividere le madri “vere” da quelle adottive. Non ha mai a che fare con la tutela di qualcuno, piuttosto di qualcosa.

E in questa storia l’unica tutela che vedo è per una certa ideologia volta a proteggere gli adulti dai propri errori, che non sono nuovi né perdonabili, ma mistificabili e minimizzabili, in nome di una certa buona creanza che guarda più all’apparenza invece che alla sostanza.

Si fanno così le famiglie, in questo Paese, dopotutto.

Leggi anche
iHeart illustra l'ironia dei social media
Educazione
di Marco Gucci 5 min lettura