Economia

Non mimose, ma più lavoro e rappresentanza

Sconti, promozioni e campagne pubblicitarie fantasiose. Ma alle donne italiane serve ben altro
Credit: cottonbro studio 
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
8 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

Chiunque sia socializzato a un minimo di femminismo, anche di base, tende a vivere con un misto di terrore e rassegnazione le due giornate chiave dedicate alle donne durante l’anno, ovvero l’8 marzo e il 25 novembre.

Personalmente, a inquietarmi di più è proprio l’8 marzo, impropriamente (e ancora troppo spesso) chiamato “Festa della donna”. La verità è che questa di oggi sarebbe la Giornata internazionale della donna, un’occasione di riflessione sulla condizione delle donne in tutto il mondo e sulle discriminazioni che ancora si trovano costrette ad affrontare in tutti i giorni della loro vita (e quindi, diciamoci la verità, c’è ben poco da festeggiare).

Temo, dicevo, in particolar modo questa ricorrenza perché mentre il 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne) i toni si fanno giustamente pacati o perfino affranti, l’8 marzo, nella nostra tradizione, richiama mimose sfinite e spogliarelli maschili. E una grande confusione su quello che le donne veramente vorrebbero e di cui avrebbero massimamente bisogno.

Anche quest’anno, i social ci propongono inserzioni di sconti, offerte speciali e perfino di gusti di dolci o di gelati dedicati a questa particolare ricorrenza. Insomma, si fa della gran goliardia. Ma la situazione delle donne, nel nostro Paese, non è divertente per niente.

Secondo l’ultimo Rapporto Istat 2023, in 10 anni l’aumento delle lavoratrici non arriva neppure a 1 milione. Nello stesso periodo di tempo, l’incidenza delle donne sul totale delle persone occupate è aumentata di meno del 3%. Siamo stabilmente uno dei Paesi europei con il più basso tasso di occupazione femminile. E, come sempre, l’Italia è spaccata a metà: se in Trentino-Alto Adige, l’occupazione femminile supera il 66%, in Sicilia e in Campania precipita al 30%.

E quelle che lavorano si trovano spesso in ambienti ostili, almeno stando all’ultimo report della Fondazione Libellula: ben il 40% ha subìto contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro (con un incremento dell’81% in 2 anni, roba da matti).

Questo per avere un quadro delle difficoltà che le donne italiane affrontano sul mercato del lavoro. Ma secondo il Glass-ceiling Index appena pubblicato da The Economist, non è che sul fronte della rappresentanza politica stiamo messe molto meglio: nonostante la presenza della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e quella della Segretaria del Pd Elly Schlein possano farci pensare il contrario, la realtà è che nel corso degli ultimi anni, la quota delle donne sul totale delle persone che siedono in Parlamento è in costante diminuzione. E quindi anche la nostra voce nel luogo in cui si prendono le decisioni strategiche per il Paese si fa sempre più flebile.

Sarà forse anche per questo che alcuni fattori che potrebbero rappresentare delle chiavi di volta per la situazione delle donne italiane (penso, per esempio, ai pasticci reiterati sugli asili nido peraltro finanziati con i soldi del Pnrr) non riescono a essere sbloccati? E allora, cosa potrebbe servire alle donne italiane? Che regalo vorremmo, per questo 8 marzo? Non mimose, non sconti per la cena né per i trattamenti estetici.

Più lavoro, più garanzie, meno retorica paternalistica (cosa ci serve e di cosa abbiamo bisogno lo sappiamo comunque meglio noi di chiunque altro), più supporto per quelle di noi che vogliono fare impresa, una struttura pubblica capillare e gratuita di servizi di supporto alle famiglie che liberino il nostro tempo.

E magari anche un po’ di educazione economico-finanziaria, per entrare a testa alta e senza timori anche nell’ambito del denaro. Insomma, poter prendere spazio e potere. Com’è giusto che sia.

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