Culture

Il valore (in)compreso delle parolacce

L’Italia è il Paese con il maggior numero di turpiloqui, a cui spesso viene data un’accezione negativa. Tuttavia si tratta di una parte importante del nostro linguaggio, approfondita anche in un corso alla IULM
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31 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Si chiama Comunicazione e parolacce, il corso partito il 20 febbraio all’Università IULM di Milano e riservato a tutti gli iscritti alle tre facoltà dell’ateneo.

Articolato in 6 lezioni per un totale di 12 ore di insegnamento, questo percorso formativo basato sull’analisi e sullo studio dei turpiloqui è il primo in assoluto nel nostro Paese ma non nel mondo.

Precedentemente, infatti, alcune realtà accademiche internazionali, come la Northwestern University degli Stati Uniti e l’Aston University dell’Inghilterra, avevano già affrontato la tematica sotto diversi punti di vista.

Nello specifico, la ricerca dell’ateneo inglese ha voluto evidenziare come nell’allora 2021 lo studio delle parolacce fosse considerato quasi un tabù quando invece questi termini rientravano e rientrano tuttora nelle conversazioni quotidiane delle persone, che spesso tramite l’utilizzo di un determinato turpiloquio riescono a trasmettere meglio che con altri vocaboli pensieri, emozioni e considerazioni.

In un certo senso, l’ateneo milanese mira anche a questo: esaminare una parte del nostro linguaggio che spesso non viene accettato ma che è capace di suscitare forti emozioni, fatto di parole che molte volte riescono anche ad alleviare argomentazioni spiacevoli dando un tocco di leggerezza e umorismo.

Vito Tartamella, giornalista e docente del corso alla IULM, afferma al riguardo «che non ha senso fingere che queste espressioni non esistano. Al tempo stesso, però, bisogna imparare a riconoscerne il ruolo e questo è possibile solo studiandone la loro lunga stratificazione culturale e antropologica».

A questo punto può sorgere spontanea la seguente domanda: quante parolacce italiane esistono? Il sito HabboLife Forum riporta che nei dizionari classici come lo Zanichelli, si possono trovare ben 300 vocaboli di questo tipo.

L’Italia sembra essere infatti in cima alla classifica tra i Paesi che utilizzano un linguaggio estroso soprattutto da parte dai giovani con un’età che va dai 16 ai 24 anni.

Inoltre, sembra che il genere maschile si servi delle parolacce almeno 11,6 volte al giorno contro il 6,3 di quello femminile.

La situazione sembra essere diversa in Inghilterra, visto che Tony McEnery, linguista dell’University of Leicester, asserisce che contrariamente a ciò che avveniva 10 anni fa l’uso del vocabolo “fuck” è stato dimezzato dagli uomini e quintuplicato invece dalle donne.

Secondo alcuni dati di Preply, la piattaforma online per l’apprendimento delle lingue, Venezia, Brescia, Padova e Genova sono le città dove vengono pronunciate dalle 19 alle 14 parolacce al giorno verso sé stessi ma anche gli altri, ovvero gli amici, i colleghi di lavoro e i parenti.

Anche da quest’ultima analisi è evidente che, nonostante si tratti di una verità spesso taciuta e della quale socialmente ci si vergogna, le imprecazioni sono forme d’espressione comuni e quindi non andrebbero troppo demonizzate.

L’etimologia non aiuta molto considerando che il significato di “parolaccia” data dal vocabolario online Treccani è “parola sconcia, volgare”. Lo stesso vale per la lingua inglese, dove il termine viene tradotto come “bad word” (brutta parola, parola cattiva) o “dirty word” (parola sporca, brutta parola).

Tuttavia, è importante andare sempre oltre il significato delle parole come insegna anche la filosofia del linguaggio di Aristotele.

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