Economia

Comunità energetiche: le incertezze della nuova norma

A causa delle regole operative approvate a febbraio, che stabiliscono i requisiti per accedere agli incentivi, molte Cer non formalmente costituite come soggetti giuridici rischiano di non rientrare fra i beneficiari del provvedimento
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6 marzo 2024 Aggiornato alle 17:00

Per raggiungere la neutralità climatica, obiettivo fondamentale di tutti i principali accordi europei e internazionali legati alla lotta al riscaldamento globale, occorre senza dubbio ripensare le nostre abitudini di consumo, specialmente in tema energetico. Ridurre gradualmente le emissioni generate fino a conquistare il livello zero sarà possibile solamente con un’azione coordinata e collettiva, che fra le sue varie modalità può sintetizzarsi nella forma di comunità energetica rinnovabile (Cer).

Si tratta di un gruppo di persone che si uniscono per produrre, consumare e condividere energia rinnovabile a livello locale. Possono essere composte da cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole/medie imprese che condividono fra loro l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico o da un’altra fonte rinnovabile installata in comune, con la possibilità di immettere quella in eccesso in apposite reti per scambiarla con altri membri. Il vantaggio di queste realtà si articola su vari livelli, partendo da una riduzione del costo delle bollette elettriche e dell’impatto ambientale fino a un aumento dell’indipendenza energetica, dato che le varie comunità si rendono autonome dalla rete elettrica nazionale.

Ciò che all’apparenza potrebbe sembrare un normalissimo accordo privato fra cittadini, è in realtà una vera e propria associazione, ossia una entità legale costituita dai soci senza scopo di lucro, il cui impianto di produzione deve essere installato in una apposita area in prossimità dei consumatori, i quali potranno beneficiare dell’energia prodotta e immessa nella rete solo se decideranno di far parte della comunità.

La normativa italiana sulle comunità energetiche rinnovabili ha subito vari rimaneggiamenti e provvedimenti attuativi, fra cui il più importante è il D.Lgs. 199/2021 (entrato in vigore il 15 dicembre di 3 anni fa per dare attuazione alla Direttiva Europea RED II sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) con requisiti dimensionali meno stringenti e stabilendo che gli impianti di produzione dell’energia elettrica potessero avere una potenza complessiva fino a 1 Megawatt, con la precisazione che avrebbero potuto aderire alle comunità energetiche anche impianti già esistenti all’entrata in vigore del decreto qualora non superassero il 30% di potenza complessiva dell’intera comunità.

Il 23 febbraio 2024 il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha approvato, con decreto direttoriale, le Regole Operative riguardanti le modalità e le tempistiche per accedere ai benefici economici previsti dal decreto di incentivazione entrato in vigore il 24 gennaio scorso che prevede, a sua volta, una tariffa incentivante per tutte le comunità stabilite nel territorio nazionale, insieme a un contributo in conto capitale fino al 40% delle spese sostenute nei Comuni sotto i 5.000 abitanti, ossia un finanziamento a fondo perduto, che rimborsa i beneficiari senza il pagamento di interessi o la necessità di restituzione degli importi. L’intero ciclo normativo si chiuderà ufficialmente l’8 aprile con l’apertura dei portali virtuali per presentare le domande di ammissione alle tariffe incentivanti, ai contributi previsti dal Pnrr e quella per verificare in via preliminare l’ammissibilità dei progetti.

Fino a qui, tutto bene: sembrerebbe una misura finalmente intenzionata a stimolare la diffusione di una risorsa tanto utile quanto necessaria. Eppure, come in parecchi altri casi, il fantasma della burocrazia balza inaspettatamente per mettere i bastoni fra le ruote. Queste regole operative infatti si rivolgono a tutte le comunità energetiche che siano già state regolarmente costituite come soggetti giuridici alla data dell’entrata in esercizio degli impianti che accedono al beneficio. Vale a dire che le comunità potranno beneficiare degli incentivi e rimborsi statali solamente se nell’arco temporale tra il 2021 e l’entrata in vigore del decreto Cer si siano regolarmente costituite come associazioni riconosciute dallo Stato, ancor prima di accendere l’impianto a loro collegato.

Nel dettaglio, le comunità dovranno dimostrare che la loro costituzione abbia preceduto l’installazione e la progettazione degli impianti di energia rinnovabile attraverso la produzione di documenti (su cui le regole operative dicono ancora ben poco) tracciati e sottoscritti in data anteriore a quella della loro entrata in esercizio.

Un cavillo apparentemente irrilevante, ma che pesa come un macigno sulle spalle di tutte quelle Cer che avevano messo in esercizio i propri impianti appena dopo il D.lgs 199/2021 senza aver costituito la comunità come soggetto giuridico.

Questa situazione oggi mette in crisi tutti quegli impianti realizzati attorno alle numerose comunità energetiche costituite come associazioni non riconosciute (presenti specialmente fra i condomini residenziali), lo strumento più utilizzato dalle Cer dal punto di vista giuridico, proprio perché si basa su un semplice contratto fra i membri, costi di gestione bassi e adempimenti organizzativi relativamente semplici.

Siamo di fronte sostanzialmente a un banale errore di comunicazione fra le parti, una mancata chiarezza che però secondo Italia Solare, associazione attiva nel campo delle integrazioni tecnologiche per la gestione intelligente dell’energia, rischia di impattare negativamente sulle Cer in fase di realizzazione, il cui completamento potrebbe subire blocchi e ritardi, con una perdita di potenziale energetico rinnovabile stimato fra i 50 e i 100 MW. Un costo estremamente significativo se si considera che, come prima ricordato, la massima potenza complessiva degli impianti di una comunità energetica è di 1 MW.

Se una famiglia media arriva a consumare annualmente intorno a 2.700 kWh, con le dovute conversioni (50 MW corrisponde a 50.000 KWh e 100 MW sono 100.000 Kwh), arriviamo dunque a calcolare che il consumo potenzialmente a rischio coinvolgerebbe approssimativamente dalle 18 alle 37 famiglie italiane.

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