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Onu: non ci sono ancora le prove del presunto coinvolgimento di Unrwa nell’attacco del 7 ottobre

Dopo le accuse israeliane contro lo staff della United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East, 16 Paesi donatori avevano sospeso gli aiuti all’agenzia. Secondo l’indagine delle Nazioni Unite, è da escludere una possibile collaborazione con Hamas
Credit: Omar Ashtawy/APA Images via ZUMA Press Wire
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
5 marzo 2024 Aggiornato alle 19:00

Mentre i negoziati tra Israele e Hamas per una tregua momentanea del conflitto in concomitanza con il Ramadan sembrano essersi arenati, la situazione a Gaza è ogni giorno più insostenibile e a complicarla ancora di più sono gli aiuti umanitari che stentano ad arrivare alle popolazioni.

Fortunatamente su questo fronte sembra esserci un flebile spiraglio di miglioramento. La Commissione europea ha infatti fatto sapere che a partire da questa settimana erogherà 50 milioni di euro di aiuti all’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ai quale si aggiungeranno altri 32 milioni in un momento successivo.

La decisione arriva a un mese di distanza dalla revisione dei finanziamenti all’agenzia dell’Onu, avvenuta a fine gennaio 2024, quando Israele aveva denunciato che 12 membri dello staff di Unrwa erano coinvolti come parte attiva nell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Un’accusa estremamente grave, che aveva portato 16 grandi donatori, tra i quali Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia, a sospendere i contributi per un totale di 450 milioni di dollari.

Eppure, a oggi Israele non ha ancora fornito le prove che sosteneva di avere a supporto della propria tesi. In attesa di capirci di più l’Onu ha comunque licenziato le persone indicate come collaboratrici di Hamas e avviato un’indagine tramite il proprio ufficio per i servizi di supervisione interna (Oios), la cui relazione finale è stata consegnata la scorsa settimana al segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Relazione che, a quanto trapela, non ha dato esiti che possano far pensare a un coinvolgimento dei lavoratori di Unrwa.

Oltre alle accuse iniziali su 12 di loro, Israele ha affermato che 190 dipendenti, compresi alcuni insegnanti, sarebbero militanti di Hamas o della Jihad islamica, e che sarebbero state trovate armi e munizioni nel quartier generale dell’Agenzia a Gaza, oltre a un tunnel sotterraneo. Il capo dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha però respinto al mittente le illazioni, affermando di non sapere cosa ci sia sotto la sede di Gaza, abbandonata dopo l’ordine israeliano di evacuare la zona in ottobre, e che in tempi di relativa pace, l’Agenzia ispeziona i locali ogni trimestre, battendosi sempre perché la propria neutralità non venga violata.

Parallelamente all’indagine dell’Oios, è in corso una revisione più ampia delle attività e della neutralità dell’Unrwa, guidata dall’ex ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna. Commissionata da Guterres a gennaio, prima che venissero avanzate le accuse israeliane, si spera che i suoi esiti possano far riprendere interamente i finanziamenti da parte dei principali donatori, prima che sia troppo tardi. L’agenzia ha infatti fatto sapere di disporre di fondi sufficienti solo per continuare a funzionare al massimo per il prossimo mese.

Tantissime le emergenze, in un momento in cui più di 2 milioni di abitanti di Gaza stanno vivendo una pesante carestia e, secondo le Nazioni Unite 1 famiglia su 4, ovvero più di mezzo milione di persone, si trova “ad affrontare condizioni catastrofiche caratterizzate da mancanza di cibo, fame ed esaurimento delle capacità di farvi fronte”.

Tra queste la condizione delle donne incinte. Come riportato al Guardian dall’organizzazione no-profit Project Hope, il 21% di quelle curate nella clinica di Deir al Balah nelle 3 settimane fino al 24 febbraio soffrivano di malnutrizione, così come 1 su 10 dei bambini presenti.

Nell’ultimo mese, le spedizioni di aiuti umanitari sono diminuite di circa la metà rispetto ai livelli di gennaio, arrivando a meno di 100 camion al giorno in media, o 2.300 per l’intero mese, un numero ben al di sotto dei 500 camion stimati necessari per soddisfare i bisogni primari giornalieri della popolazione. Queste restrizioni hanno colpito ovviamente anche gli ospedali, come il Deir al Balah, ma anche l’Al-Awda di Jabalia, situato nel nord di Gaza, che a causa della grave carenza di carburante e forniture mediche ha sospeso i servizi medici.

Si trattava dell’ultimo ospedale funzionante della zona. Dopo un assedio continuo dei raid israeliani non è più funzionante nemmeno quello di Nasser, il più grande di Gaza, che si trova a sud della striscia e ha al proprio interno oltre 120 pazienti in attesa di evacuazione medica.

Complessivamente, solo un terzo degli ospedali della striscia è parzialmente operativo e quelli che tentano di continuare ad assistere malati e feriti sono sopraffatti dai pazienti e a corto di scorte. Per questo la ripresa degli aiuti a Unrwa è più che mai preziosa.

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