Ambiente

Come la rimozione influenza le tue scelte

Le città più inquinate restano il luogo nel quale decine e centinaia di milioni di persone continuano a vivere. Perché?
Credit: EPA/DIVYAKANT SOLANKI  

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1 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

Il giornale Rest of the World ha distribuito rilevatori di inquinamento ad alcuni raider di Lahore, New Delhi e Dhaka.

I risultati sono impressionanti perché mostrano concentrazioni di gas e particelle nocive a livelli terribili.

Certo, le interviste con i raider sono ancora più impressionanti: quelle persone che stanno tutto il giorno in giro per strada per realizzare i nuovi servizi di logistica che l’ecommerce ha reso necessari manifestano sintomi pesanti, stanchezza e tosse persistente, nausea e infezioni agli occhi. E anche peggio.

Le rilevazioni “fai-da-te” sull’inquinamento non mancano e vanno prese con il giusto senso critico, come ha scritto anche Giacomo Talignani su La Svolta a proposito delle recenti analisi riguardanti Milano.

Ma sta di fatto che decine di milioni di persone continuano a vivere in città fortemente inquinate. Perché?

Fondamentalmente, si può dire che sono costrette a farlo. I loro legami sociali, le opportunità economiche che hanno trovato, la casa e le esigenze collegate alla famiglia, si rivelano più importanti nelle loro scelte di quanto non sia una razionale valutazione della qualità dell’ambiente nelle loro città, ovviamente. Spesso non sono abbastanza informate. I particolati, il benzene, la formaldeide e tutti gli altri agenti cancerogeni che i loro polmoni non cessano di assorbire, non fanno rumore. Ma c’è di più.

Oltre a non voler cambiare città, spesso non possono farlo perché non vedono le alternative. Sono più brave a sopravvivere e tirare avanti piuttosto che a progettare una trasformazione della loro vita.

In questo, le appoggia una forte funzionalità psicologica che - generalizzando un concetto di origine freudiana - spinge alla rimozione. Piuttosto che soffrire, affrontare una difficoltà, immaginare una soluzione, tendono a dimenticare il problema.

In questo contesto, hanno bisogno di forme d’aiuto immediate. Sentono vicini i politici che offrono loro qualche gratificazione di brevissimo termine. Sentono lontani i leader che propongono soluzioni orientate al futuro.

Preferiscono per esempio sentirsi difesi come tribù piuttosto che contribuire all’elaborazione di strategie di cittadinanza. Eppure i problemi dell’inquinamento non hanno molto a che fare con le identità tribali: sono decisamente più collegati alle scelte che le cittadinanze, guidate da leader lungimiranti, sapranno operare. Ma se mentre si aspetta il lungo periodo, si sopravvive rimuovendo i problemi, allora si cercano gratificazioni immediate e non si appoggia con la dovuta energia una policy davvero costruttiva.

La ragione, insomma, non è al governo. E non ci si può aspettare che lo sia.

Ma questo non è il finale della storia. Perché anche i lungimiranti possono imparare a entrare in contatto con cittadinanze che sono insieme emotive, ragionevoli, strette nella loro quotidianità, orientate a considerare il futuro come un pericolo: e che invece potrebbero essere aiutate a vedere le alternative. Tra le quali c’è anche un avvenire migliore del presente, emotivamente attraente, economicamente conveniente, ecologicamente sano.

I leader che riuscissero in questa impresa, ridefinendo il quadro nel quale le persone fanno progetti, potrebbero dire di avere avuto un ruolo nella storia.

I capi popolo che riescono solo a intercettare le pulsioni momentanee, invece, non fanno che aggiungere le loro pagine tragiche alle fasi più difficili dell’esperienza umana.

Certo, a loro volta i leader hanno bisogno di vedere le alternative, ascoltando insieme la scienza e la voce delle persone, il che può essere davvero sfidante. E anche i potenti non possono tutto. Ma questo non toglie che chi ha più potere ha anche più responsabilità.

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