Bambini

Sarajevo: al War Childhood Museum si guarda la guerra con gli occhi dei bambini

Jasminko Halinović è cresciuto in una città assediata, spesso senza acqua, cibo o elettricità. Una volta cresciuto, ha raccolto in un museo giocattoli, peluche e disegni, per non dimenticare mai la paura e il dolore di chi, come lui, ha vissuto o vive la propria infanzia sotto le bombe
Credit: Warchildhood.org 
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6 marzo 2024 Aggiornato alle 12:00

Jasminko Halilović sa bene che cosa significa guardare la guerra con gli occhi di un bambino. Nato nel 1986, dai 4 agli 8 anni ha vissuto in una Sarajevo assediata. La mancanza di acqua, di cibo, di elettricità, di medicinali. Il rumore assordante dell’artiglieria, la minaccia costante e invisibile dei cecchini. Ricordi che non possono essere cancellati. Tra questi il peggiore, ha raccontato a Le Monde, è stato scoprire dalla tv che la sua fidanzata segreta, Mirela di 10 anni, era stata uccisa per strada. Gli storici stimano che durante l’assedio nella Capitale bosniaca siano state uccise circa 12.000 persone, 643 delle quali bambini.

Nel 2013, in un momento di svolta nella sua vita, Halilović decise di riaprire il cassetto dei ricordi e di riportare alla luce i traumi legati al conflitto in modo collettivo. Attraverso un appello lanciato sui social network iniziò a cercare le storie di chi, come lui, era stato bambino durante la guerra di Bosnia. Dalle testimonianze che raccolse nacque il libro War childhood, pubblicato inizialmente in bosniaco, e poi tradotto in tedesco, giapponese e inglese.

“Durante i due anni e mezzo nei quali ho lavorato al libro - scrive Halilović - ho incontrato centinaia di persone e ho ascoltato le loro storie e le loro testimonianze. Ho imparato che crescere durante una guerra è un’esperienza complessa, universale e non abbastanza raccontata. Molte delle persone che hanno preso parte al progetto mi descrivevano o mostravano le loro memorie della guerra: effetti personali, foto, diari, lettere, disegni e altri documenti. Vent’anni dopo la fine del conflitto, un gran numero di quegli oggetti era andato perso durante le emigrazioni, buttato via accidentalmente o danneggiato per sempre. […] Il mio sogno era quello di raccogliere tutte queste memorie in un museo e conservarle per sempre”.

Da quel sogno, nel 2017 è nato a Sarajevo il War Childhood Museum che racchiude ciò che per tanti bambini e bambine rappresenta l’aver passato un’infanzia in guerra. Giocattoli, peluche, boccette di profumo, scarpette da danza classica, disegni fatti da mani inesperte, un paio di vecchi jeans, una ricetta medica, zainetti, fotografie e persino un lenzuolo ricamato narrano ciò che i libri di storia non hanno mai raccontato. Storie di traumi, paura, dolore, ma anche di speranza.

«La creazione di questo museo è importante non solo per la conservazione delle memorie delle infanzie di guerra - ha affermato Halilović - ma anche perché, diversamente da altri musei di guerra, documenta l’esperienza di coloro che non hanno avuto nessun ruolo nell’inizio del conflitto, ma che ancora oggi ne pagano le conseguenze. Le storie dei bambini sono particolarmente importanti per il loro potenziale e perché possono contribuire a creare un terreno fertile per la reciproca comprensione, che è essenziale nel processo di riconciliazione».

Il War Childhood Museum, con una collezione di 6.000 pezzi, è uno dei musei più visitati della Capitale bosniaca e Halilović sogna di renderlo internazionale, raccogliendo storie e oggetti da bambini e bambine di altre parti del mondo, come ha fatto in Siria, in Ucraina e a Gaza. Nel 2023 è stata inaugurata una prima mostra fuori da Sarajevo, all’Istituto polacco di Kyiv con alcuni degli oggetti donati dai bambini ucraini a partire dal 2018, durante il conflitto del Donbass e poi l’invasione russa. «I bambini dicono le cose di cui gli adulti non vogliono parlare - ha spiegato a Le Monde Svitlana Osipchuck, la direttrice della mostra ucraina - Ci sono le storie dolorose, ma anche quelle positive».

Oggi più che mai abbiamo quotidianamente sotto gli occhi le immagini di infanzie distrutte dal conflitto. Sarebbe bello poter immaginare un mondo in cui non sia necessaria l’esistenza di un War Childhood Museum, ma non si può che ammirare il lavoro di chi come Halilović ha dedicato la propria vita ed energia a fare in modo che tante storie potessero trovare una voce. A noi, adesso, resta la responsabilità di ascoltarle.

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