Diritti

Turchia: è emergenza morti sul lavoro e femminicidi

Secondo i dati dell’Health and Safety Labour Watch, a gennaio ben 158 lavoratori hanno perso la vita: circa 5 ogni giorno. Il portale indipendente Bianet, invece, denuncia livelli altissimi di violenza di genere: nel 2023 almeno 333 donne sono state uccise da un uomo
Credit: Virginia Berbece
Tempo di lettura 4 min lettura
6 marzo 2024 Aggiornato alle 19:00

Preoccupano i dati turchi su femminicidi e morti sul lavoro contenuti negli ultimi report di Isig Meclisi (Health and Safety Labour Watch) e del portale online Bianet.

Partiamo dal primo. Stando alla recentissima ricerca condotta da Isig, solo a gennaio sul luogo di lavoro sono morti 158 lavoratori: almeno 5 ogni giorno. Con la sua analisi, l’organizzazione denuncia insicurezza, mancanza di tutele e, a volte, delle più basilari norme di sicurezza. Per esempio, nel settore edile le postazioni di lavoro sono spesso illegali e senza licenza; non a caso, proprio in questo ambito, a gennaio si sono verificati ben 45 decessi.

Una scarsa sicurezza che coinvolge anche i momenti extra lavorativi. Infatti numerosi decessi sono avvenuti anche durante le pause. “Dozzine di lavoratori sono morti per ustioni e avvelenamenti a seguito del tentativo di stare al caldo mentre lavoravano o di ripararsi”, si legge nel report. I luoghi di lavoro non sono a norma, preparati per le emergenze o per fornire uno spazio sicuro; un aspetto che, inoltre, si è palesato a febbraio 2023, quando il terremoto ha reso evidente l’inadeguatezza delle infrastrutture del Paese.

Sebbene in Turchia, in materia di diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro, sia in vigore dal 2012 la legge n.6331, i lavoratori e le lavoratrici non sembrano essere tutelati, e continuano a morire. Questi dati, già drammatici di per sé, assumono un tratto ancora più sconvolgente se si considera che (stando sempre alle ricerche condotte da Isig) negli ultimi 11 anni almeno 671 bambini hanno perso la vita lavorando; nel 2023, 54.

Che in Turchia i minori lavorino non è un’eccezione, bensì la regola. Da sempre nel Paese si sfrutta l’apprendistato come modello giuridico per far lavorare i bambini; tuttavia, con Erdoğan al potere questo modello si è consolidato, adattandosi alle nuove richieste di mercato e assumendo tratti neoliberisti. Si è così giunti al modello Mesem (Centro di formazione professionale) lanciato nel periodo 2021-2022.

«Gli studenti che lavorano nell’ambito del progetto Mesem vanno al lavoro per 4 giorni e a scuola per 1 giorno» ha dichiarato Kadem Özbay, presidente della Ong Education-Business. Secondo Özbay, il Mesem sfrutta, legalizzandolo, il lavoro minorile, in quanto i bambini vengono immessi nel mercato del lavoro come manodopera a basso costo. Opinione condivisa anche da Özgür Hüseyin Koşuk, membro Isig, che afferma che il motivo principale per cui i bambini aderiscono al programma Mesem è la povertà e la difficoltà di avere accesso a un’istruzione pubblica, in quanto le politiche di Erdoğan puntano sempre più sulla privatizzazione dei servizi; di conseguenza i bambini delle famiglie più povere sono costretti a lavorare. Il settore che ha registrato la maggior parte di morti tra i lavoratori minorenni è quello agricolo.

La Turchia deve fare i conti con un’altra emergenza sociale: i femminicidi. La recente ricerca svolta dal portale indipendente Bianet denuncia che nel 2023 almeno 333 donne sono state uccise per mano di un uomo (tra cui 15 rifugiate); se si includono, poi, gli altri 6 femminicidi commessi negli anni precedenti ma segnalati solo lo scorso anno si arriva a 339.

Purtroppo a questi numeri già alti si aggiungono anche altri tipi di violenze e reati commessi contro le donne. Secondo Bianet, nello stesso periodo, secondo le informazioni riportate dai media, sono state violentate 18 donne, 371 sono state costrette a prostituirsi e 355 sono state molestate.

Un vortice di violenza e sessismo che trova le sue radici soprattutto in politiche e misure governative (quelle dell’Akp di Erdoğan) che calpestano i diritti fondamentali delle donne, non favorendone l’emancipazione.

Nel dicembre 2021 (anno del ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul) la Procura di Istanbul ha chiesto la chiusura della popolare piattaforma online locale We Will Stop Femicidies con l’accusa di “svolgere attività illegali e immorali”; tuttavia nel settembre 2023 il tribunale di Istanbul si è pronunciato contro la richiesta.

Questa vittoria resta comunque un fatto isolato, perché in Turchia la condizione delle donne rimane critica: in vista del 25 novembre 2023 (Giornata contro la violenza sulle donne) l’ufficio del governatore di Diyarbarkır emanò un divieto di protesta, mentre il governatore di Istanbul attuò misure repressive per impedire i cortei, come a esempio quello di chiudere alcune stazioni metropolitane.

Considerando, dunque, il contesto politico e sociale, le donne e i lavoratori in Turchia devono fare ancora molto per far sentire la loro voce, con l’obiettivo di vedere rispettati i loro diritti.

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