Diritti

Elezioni Turchia: Erdogan vince il ballottaggio

Il Presidente ha ottenuto il 52,1% dei voti, contro il 47,9% dello sfidante Kilicdaroglu. Durante il suo discorso post vittoria ha attaccato i partiti di opposizione, definendoli “pro Lgbt”
I sostenitori di Erdogan si sono riuniti davanti al quartier generale del partito e hanno cantato slogan a favore del Presidente, il 28 maggio 2023
I sostenitori di Erdogan si sono riuniti davanti al quartier generale del partito e hanno cantato slogan a favore del Presidente, il 28 maggio 2023 Credit: © Tolga Ildun/ZUMA Press Wire
Tempo di lettura 4 min lettura
29 maggio 2023 Aggiornato alle 12:00

L’era del sultano continua, almeno fino al 2028. Come ampiamente previsto dai sondaggi, Recep Tayyip Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali in Turchia con il 52,1% delle preferenze, al ballottaggio contro lo sfidante Kemal Kilicdaroglu del partito repubblicano kemalista Chp (sostenuto da una coalizione di 6 partiti e dalla coalizione filocurda) che ha ottenuto il 47,9% dei consensi.

Rispetto a quanto successo nella campagna elettorale per il primo turno, nelle ultime 2 settimane Kilicdaroglu aveva provato ad accaparrarsi i voti dei nazionalisti che avevano votato il terzo candidato, Ogan, che nel frattempo aveva comunque deciso di dare il suo endorsement a Erdogan, promettendo di rimpatriare i milioni di migranti siriani fuggiti in Turchia a seguito della guerra civile: una scelta di retorica xenofoba che si è rivelata essere errata anche sul piano strategico, visto che il risultato è stato ottenere un’affluenza ridotta nelle 11 città a maggioranza curda (scesa comprensibilmente al 75% rispetto all’81% del primo turno).

Come riportato dalla giornalista Lindsey Snell su Twitter, tra i primi a festeggiare la rielezione ci sono stati infatti i mercenari islamisti nella regione di Afrin, nel Nord della Siria, occupata dalla Turchia a seguito dell’espansione imperialista attuata negli scorsi anni.

Nel discorso post vittoria pronunciato a Istanbul, Erdogan ha prima usato toni concilianti, dicendo di voler essere il Presidente di tutti, finendo tuttavia ad attaccare nuovamente i partiti dell’opposizione definendoli “pro Lgbt” e difensori dei “terroristi” dell’Hdp, il partito filocurdo accusato di avere legami con il Pkk e, proprio per questo, a rischio chiusura per vie legali.

Ci sono state, nel corso della campagna elettorale, enormi differenze di spazio concesso ai 2 candidati sui media: come riportato da Rsf (Reporters Without Borders), Erdogan è stato presente sulle reti della televisione pubblica per 32 ore; Kilicdaroglu solamente per 33 minuti.

Per quanto riguarda la libertà di stampa, scrive Rsf, “ogni trimestre, negli ultimi 20 anni, una media di circa 200 giornalisti è stata portata davanti ai tribunali ai sensi della legislazione antiterrorismo della Turchia o del codice penale in relazione al loro lavoro. Le disposizioni di lesa maestà ancora esistenti nel codice penale turco sono state utilizzate per perseguire altri 200 giornalisti con l’accusa di ‘insultare’ il presidente Erdoğan dal 2014. 74 di loro sono stati condannati o multati”.

“I tribunali hanno censurato almeno 550 contenuti giornalistici online nel 2022 - continua l’organizzazione - articoli, editoriali e rapporti investigativi che nella maggior parte dei casi riguardavano la corruzione, il clientelismo politico o pratiche discutibili all’interno delle cerchie alleate con il Governo”.

Sono passati 10 anni dalla repressione delle manifestazioni del parco di Gezi che causò 1 vittima e innumerevoli feriti. Le proteste furono innescate dalla contrarietà dei cittadini di Istanbul a un piano di sviluppo urbano che avrebbe comportato l’eliminazione degli ultimi spazi verdi nel centro della città, costruendo una moschea, un centro commerciale e degli appartamenti di lusso.

“Il tentativo di schiacciare il movimento di protesta di Gezi Park ha comportato il ricorso a tutta una serie di violazioni dei diritti umani di ampia portata: dalla totale negazione del diritto di manifestazione pacifica alla violazione del diritto alla vita e alla libertà personale fino ai maltrattamenti e alla tortura”, aveva spiegato nel 2013 Andrew Gardner, esperto di Turchia presso Amnesty International.

Questi fatti cambiarono per sempre la politica turca, portando definitivamente Erdogan verso la via dell’autoritarismo e spegnendo le speranze di migliaia di giovani, in gran parte accorsi sul posto dopo aver saputo sui social delle repressioni per mano della polizia. Giovani che lottavano per una vera democrazia.

Leggi anche