Ambiente

L’imprevedibile evoluzione della quinoa

È il cibo perfetto per chi vuole mangiare sano. Ma quali sono i costi sociali e ambientali nascosti della sua popolarità?
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5 marzo 2024 Aggiornato alle 10:00

Alimento diventato popolare, soprattutto nella cucina healthy e vegana, per l’elevato contenuto di proteine, che contengono i nove amminoacidi essenziali, la quinoa è ricca di nutrienti e antiossidanti, è un alimento privo di glutine e con molte fibre: insomma, il cibo perfetto per chi vuole mangiare sano. Ma quali sono i costi nascosti della sua popolarità? Facciamo un salto indietro per capirlo.

Colonialismo culinario

Alcune precisazioni. La pronuncia corretta di questo cibo è “keen-wha”, mentre il nome scientifico è Chenopodium quinoa, pianta della famiglia delle Amarantacee (la stessa degli spinaci) e ne esistono oltre duecento varietà. È classificata come uno pseudocereale, ed è diffusa nella cucina sudamericana.

Era sacra per gli Inca, che la definivano chisiya mama, in quechua «madre di tutti i semi».

Tuttavia, l’arrivo dei colonizzatori spagnoli in Sud America modificò pesantemente la sua diffusione. Le coltivazioni di quinoa erano alla base della potenza dell’Impero Inca: per i conquistadores, eradicarle rappresentava un vantaggio strategico. Inoltre, la quinoa era considerata una pianta dotata di poteri demoniaci: gli Inca la usavano infatti nei rituali, temuti dagli europei.

Da cibo “degli indiani” al cibo “degli Inca”

La quinoa, però, ha continuato a essere coltivata, soprattutto dalla popolazione rurale.

La pianta era ormai considerata un alimento inferiore, un “cibo degli indiani”: una classificazione che esplicita simbolicamente le discriminazioni nei confronti degli stessi indigeni.

Tutto è cambiato a partire da uno studio della Nasa del 1993 riguardante i benefici nutrizionali della quinoa e le sue potenziali applicazioni come alimento per gli astronauti.

Un altro momento chiave della scalata sociale della quinoa è stato nel 2008, quando la conduttrice statunitense Oprah Winfrey l’ha inclusa nella sua twenty-one-day cleanse, una dieta di 21 giorni volta alla “depurazione” dell’organismo.

Infine, la scelta da parte della Fao (Organizzazione del cibo e dell’agricoltura delle Nazioni Unite) di nominare il 2013 “Anno della Quinoa” le ha riconosciuto una rilevanza globale.

È curioso notare come la quinoa abbia così guadagnato l’affascinante denominazione di “coltura perduta degli Inca”, senza accenni a quelle popolazioni – non più nobili Inca, ma poveri contadini – che per secoli hanno continuato a consumarla, preservandola nel tempo. E se ve lo state chiedendo, no, la popolarità della quinoa non li ha resi più ricchi.

Popolarità non fa rima con biodiversità

La crescente domanda globale di quinoa – prima negli Stati Uniti, poi in Europa – si è tradotta nella nascita di monoculture della pianta, allo scopo di massimizzarne i profitti.

Questa situazione non ha portato vantaggi alle popolazioni locali, impreparate a rispondere a una domanda così massiccia. Pertanto, gli storici consumatori di quinoa hanno iniziato a utilizzarla meno per la propria sussistenza, trovando più conveniente vendere le proprie produzioni o le proprie terre, cambiare la propria alimentazione e optare per cibi meno nutritivi, ma più economici.

Le conseguenze delle monoculture si notano anche a livello ambientale: spesso vengono scelte varietà in base alla facilità di lavorazione, senza considerare che si tratta di tipi di quinoa più sensibili ai parassiti e per proteggerli si fa largo uso di pesticidi. Inoltre, la preponderanza di monoculture è un pericolo per la biodiversità locale, perché le varietà escluse potrebbero scomparire.

La quinoa è un esempio dell’importanza di riflettere sulle conseguenze della popolarità di un cibo: in un mondo globalizzato, informarsi è (anche) responsabilità del consumatore.

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