Bambini

Come raccontare la guerra ai bambini

Che sia per protezione o per paura, spesso si cerca di tenere i più piccoli lontani da certi argomenti, ma farlo può esporli ancora di più a situazioni di disagio. Meglio accompagnarli per mano nella conoscenza
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2 marzo 2024 Aggiornato alle 08:00

Tra la moltitudine di informazioni dalle quali siamo sommersi quotidianamente, un argomento su tutti ci mette sullo stesso piano d’ascolto: la guerra. Questa espressione assoluta di violenza ci attanaglia senza se e senza ma, coinvolgendoci tutti, sebbene con ruoli, responsabilità e consapevolezze diverse.

C’è però una categoria di persone che, più o meno volontariamente, escludiamo a più riprese dal racconto dei conflitti in corso: i bambini. La guerra, però, si percepisce, non basta non ascoltarla per risultarne avulsi, ed escluderla dai discorsi non sottrae i più piccoli alla sofferenza ma, anzi, impedisce loro la formazione di una propria consapevolezza.

Bisogna, però, considerare che ogni età possiede una propria modalità e disponibilità alla comprensione. In che modo e quando, quindi, sarebbe giusto parlare ai bambini della guerra?

La psicoterapeuta Alessandra Marazzani Visconti, fondatrice di PsicheMilano sostiene che sia essenziale pensare con attenzione all’età dei bambini e delle bambini ai quali ci si rivolge. Già dai 4 anni è possibile trattare il tema utilizzando parole semplici, per iniziare alla comprensione e alla conoscenza della guerra, facendo però attenzione a non cadere nella separazione automatica di “buoni” e “cattivi”, che allontanerebbe dal primario obiettivo di raccontare e far conoscere la totalità del conflitto stesso.

Per ovviare a tale problema, secondo la Visconti, bisogna fornire rassicurazioni e apertura al dialogo ai bambini, i quali, formulano continue domande, di varia natura: il famigerato “perché?”.

Nella nostra era iper-connessa, i più piccoli sono continuamente esposti alla conoscenza di tutto, guerre e conflitti inclusi. Nascondere o evitare discorsi in merito può portare alla costruzione di paure, tabù e false considerazioni.

Emergency, associazione indipendente che offre cure medico-chirurgiche gratuite alle vittime delle guerre e della povertà, sottolinea che non far vedere ai bambini quello che accade nel mondo può anche portare allo sviluppo di un senso di passività e indifferenza.

Sandra Manzolillo e Ilaria Montixi dell’Ufficio Scuola dell’associazione concordano sul dover differenziare la narrazione in base alle diverse età degli interlocutori.

Per i più piccoli, bisognosi di maggior tatto e delicatezza, si potrebbe iniziare da storie o racconti di introduzione all’argomento. Man mano che si sale d’età, la conversazione può crescere di intensità per stimolare nei ragazzi la formazione di riflessioni e capacità critiche. Una modalità per avvicinarli all’argomento potrebbe essere, concordemente alle esponenti di Emergency e non solo, raccontare loro storie di coetanei che si trovano in situazioni di guerra, per sviluppare empatia e vicinanza.

I bambini, per purezza e sensibilità, hanno bisogno di essere accompagnati per mano in questo processo di scoperta e conoscenza affinché le loro emozioni non vengano amplificate, cosa che potrebbe accadere se venissero lasciati da soli.

Davanti a un racconto di guerra il sentimento più immediato è la paura: il timore che la stessa possa avvicinarsi e colpire la propria famiglia si potrebbe percepire, nell’animo di un bimbo o di una bimba, in maniera molto vivida.

Save The Children sostiene che lasciare spazio alle domande e consigliare libri o racconti sulla pace, potrebbe essere una buona strada da intraprendere per favorire la giusta comprensione.

La responsabilità del racconto non può essere però demandata solo ai genitori o ai famigliari; sarebbe importante istituire, laddove non presenti, dei percorsi didattici mirati e studiati per ogni età, per sdoganare quello che per i più piccoli è stato percepito a lungo come un grosso tabù.

I bambini sono ricettacoli emotivi dotati di enorme sensibilità ma la tutela dei loro sentimenti non avviene costruendo castelli di non detti ma, al contrario, accompagnandoli nella scoperta di un mondo che, al più delle volte, si discosta da quello fiabesco in cui, per senso di tutela e protezione, vorremmo trattenerli. Favorendo il dialogo e lo scambio, sempre con toni positivi e mai allarmanti, si può contribuire a formare coscienze e consapevolezze.

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