Economia

Nuova Direttiva Case Green: costi fino a 55.000 euro per famiglia

L’Energy Performance of Building Directive lascerà agli Stati decidere come e con quanti aiuti pubblici ridurre le emissioni prodotte dalle abitazioni, aumentandone l’efficienza energetica. Una spesa non indifferente
Credit: Esragezyour  

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22 febbraio 2024 Aggiornato alle 17:00

Il viaggio della celebre Direttiva Case Green dell’Unione europea, conosciuta anche come Energy Performance of Building Directive (Epbd), entra ufficialmente nel vivo con la sua approvazione definitiva, prevista in sessione plenaria all’Europarlamento tra l’11 e il 14 marzo.

In base all’articolo 9, l’Italia avrà il dovere di far diminuire il consumo medio energetico del patrimonio residenziale nazionale, nel rispetto di un conteggio che si estende dal 2020 al 2050, termine massimo entro cui lo stock abitativo italiano dovrà essere a zero emissioni.

Si tratta di un anno cruciale, in quanto è posto come riferimento per la scadenza dell’Accordo di Parigi, che impegna i Paesi firmatari a ridurre le emissioni di gas serra fino a raggiungere un impatto climatico pari a zero, in modo da limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C entro i prossimi decenni.

In linea proprio con questo accordo, secondo cui il livello di emissioni dovrà essere ridotto di almeno il 55% nei prossimi 6 anni, entro il 2030 la riduzione (legata al patrimonio immobiliare) dovrà essere del 16% ed entro il 2035 del 20-22%.

In quanto direttiva, ossia un atto giuridico che si limita a stabilire gli obiettivi che i Paesi membri dell’Ue dovranno conseguire, anche nella Epbd Bruxelles delinea i parametri fondamentali da raggiungere, lasciando ai singoli governi statali la decisione (fondamentale) sulle modalità da mettere in pratica per disegnare una curva progressiva di abbattimento dei consumi.

Fra le indicazioni della nuova direttiva scompare il riferimento all’attuale classificazione contenuta nelle certificazioni energetiche (Ape), che si basa su una scala da A4 (massima efficienza) a G (minima efficienza).

La classe energetica viene assegnata in base a un indice che misura il consumo di energia dell’edificio per metro quadrato, a cui corrisponderà - in sede di vendita o locazione - un valore più alto o più basso, in base al livello di efficienza energetica dell’immobile.

Mentre negli ultimi due anni e mezzo gli immobili di prima e seconda fascia hanno visto i loro prezzi aumentare rispettivamente del 13% e del 10%, tutte le altre categorie più energivore gravitano in prezzi praticamente fermi.

Un incremento di valore che impressiona se lo si legge alla luce di un mercato immobiliare in forte contrazione, come si evince dai dati Istat che registrano cali delle compravendite dell’11% e dei mutui del 31% nel 2023.

Per mesi si è dibattuto, sia a livello politico che di opinione pubblica, sui rischi e sui possibili aggravi economici che si sarebbero potuti abbattere sugli italiani, “costretti’’ a ristrutturare in chiave green le loro abitazioni.

Ebbene, le rilevazioni di Scenari immobiliari confermano quanto vecchi siano i nostri edifici, dato che attualmente circa il 70% del patrimonio residenziale nazionale rientra fra le tre classi più basse ed energivore (E, F e G), proprio per il fatto che la stessa percentuale di immobili è stata costruita prima del 1980. Di conseguenza, prima dell’attuazione delle norme antisismiche e di quelle energetiche, a cui invece si sono adeguate le abitazioni costruite dopo il 2000, che però rappresentano circa l’8% del totale.

In termini prettamente di costo, l’istituto stima un investimento complessivo tra i 1.100 miliardi di euro e 1.750 miliardi, dove la parte residenziale va da 550 a mille miliardi.

Calibrando i dati in maniera ancora più specifica, per le ristrutturazioni da effettuare entro i prossimi 10 anni ogni famiglia avrà una spesa che va dai 20 a 55.000 euro, distribuiti in lavori di coibentazione dei tetti, cambio delle finestre per limitare la dispersione di calore e gli interventi sugli impianti di riscaldamento.

All’attenzione del Governo, che dovrà mettere in piedi un piano apposito per raggiungere gli obiettivi europei, ci sono i circa 5 milioni di edifici che - secondo l’Istat - presentano le condizioni peggiori in termini di prestazioni e consumo energetico.

Parliamo di solo una parte degli immobili residenziali su cui bisogna intervenire al più presto, in quanto la cifra si basa solo sugli attestati di prestazione energetica depositati nel database di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ossia documenti che descrivono le caratteristiche energetiche di un edificio, abitazione o appartamento, da presentare obbligatoriamente ogniqualvolta si proceda a un atto di compravendita, donazione o di locazione di un immobile. E il 51% delle attestazioni ricade proprio nelle classi energetiche più basse, F e G, inquadrando dunque edifici vecchi (oltre 3 milioni costruiti prima del 1945), privi di isolamento termico, con impianti inefficienti e con maggiori livelli di consumo di energia primaria.

Il fatto di non dover ragionare più per classi energetiche minime, oltre alla maggiore libertà dei Paesi membri di poter decidere l’ammontare di stanziamenti pubblici in aiuto alle famiglie, si inserisce nel solco di maggiore apertura che le istituzioni europee hanno tracciato ultimamente alla luce di eventi politicamente rilevanti e concatenati.

Da un lato le proteste degli agricoltori in tutta Europa, che ha spinto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a limare pesantemente le proposte originarie contenute nel Green Deal europeo, da cui è stato stralciato il regolamento che dimezzava l’uso dei pesticidi chimici in agricoltura a favore di strumenti alternativi più sostenibili, così come l’obbligo di riduzione dei gas serra agricoli del 30% entro il 2040.

Una cura dimagrante frutto di negoziati avvenuti lungo i mesi passati, ma anche un chiaro segnale di favore verso l’elettorato più restìo alle normative green di stampo europeo, oltre che della maggioranza che siederà nelle 720 postazioni dell’Europarlamento dopo le elezioni di giugno, prevista sempre più a trazione conservatrice.

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