Economia

Lo smart working è la causa della nuova crisi immobiliare?

Negli Stati Uniti l’abbandono degli uffici sta portando ingenti perdite alle banche legate al settore immobiliare e disagi tra le classi medio-basse. La crisi inizia a preoccupare anche in Europa e in Cina
Credit: Good Faces  

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21 febbraio 2024 Aggiornato alle 09:00

Il lavoro da remoto, aumentato in maniera sensibile dopo la pandemia da Covid-19, ha cambiato sensibilmente il mercato del lavoro, ma non solo: ora che si sta radicando sempre di più, negli Stati Uniti potrebbe contribuire a determinare una nuova crisi immobiliare.

Gli investitori e le autorità di regolamentazione, in allerta per i segnali di difficoltà nel sistema finanziario dopo i recenti fallimenti di alcune banche, stanno infatti ponendo attenzione alla flessione del mercato immobiliare commerciale statunitense, pari a circa 20.000 miliardi di dollari nel 2022.

Infatti, proprio mentre i finanziatori del settore sono alle prese con le turbolenze innescate dal rapido aumento dei tassi di interesse, il valore degli edifici commerciali con destinazione d’uso di ufficio sta crollando e ciò potrebbe aggravare le perdite delle banche, sollevando preoccupazioni per gli effetti a catena.

L’edilizia abitativa è un grosso problema per i ceti medio-bassi, che spesso non riescono a pagare l’affitto o estinguere i mutui. Questo ha causato numerosi scioperi da parte di migliaia di lavoratori del settore alberghiero a Los Angeles. In Oregon, 400 dipendenti pubblici della contea di Yamhill hanno scioperato a novembre perché, ha affermato il sindacato, “molti lavoratori non possono permettersi un alloggio”. Nelle Twin Cities, lo sgomento dei lavoratori per l’aumento degli affitti sta alimentando i piani per uno sciopero multi-sindacale di 30.000 lavoratori a marzo. Quando i lavoratori alberghieri a San Francisco terranno le trattative contrattuali entro la fine dell’anno, l’accessibilità economica degli alloggi sarà uno dei temi clou.

«L’alloggio è una questione molto importante per i nostri membri», ha affermato Anand Singh, presidente del sindacato dei lavoratori alberghieri Unite Here di San Francisco. «I nostri membri non riescono ad assorbire gli improvvisi aumenti degli affitti a cui hanno assistito. Vengono sfrattati dalle loro case. Vengono spinti sempre più in basso nella scala immobiliare».

Molti edifici sono rimasti vuoti dall’inizio della pandemia. All’inizio, i proprietari speravano di aspettare la fine della pandemia, ma i lavoratori tardavano a rientrare, spingendo i datori di lavoro a ridimensionarsi. Così, il tasso di posti vacanti, soprattutto negli edifici più logori, è salito alle stelle, complice l’aumento successivo dei tassi di interesse.

La maggior parte degli edifici commerciali sono finanziati tramite prestiti di cinque o dieci anni e molti di questi prestiti verranno rifinanziati a breve, mentre i tassi rimarranno alti. Nei prossimi due anni verranno rinnovati circa 1 trilione di dollari in prestiti per proprietà commerciali, un importo che rappresenta un quinto del debito totale sugli edifici commerciali negli Stati Uniti.

Recentemente, diversi uffici nelle grandi città sono stati scambiati a meno della metà dei prezzi pre-pandemia, ulteriore fattore che causerà grosse perdite di capitale per molti proprietari, lasciando le banche a inghiottire ingenti perdite.

Tra i grandi istituti bancari che sono già stati duramente colpiti da questi nuovi trend troviamo la New York Community Bancorp (Nycb), che in tre mesi ha perso 260 milioni di dollari sul portafoglio dei prestiti e è ritenuta sull’orlo del crac; la giapponese Aozora Bank, che ha registrato la sua prima perdita netta, pari a 28 miliardi di yen (circa 190,5 milioni di dollari) su un utile netto di 24 miliardi, dal marzo 2009 e la Deutsche Pfandbriefbank AG, che ha visto ridurre le quote di partecipazione di uno dei suoi maggiori finanziatori, la fondazione Rag, ed è riuscita momentaneamente a colmare le perdite stanziando 215 milioni di euro mentre si sta preparando a quello che definisce “il peggior calo dei valori delle proprietà commerciali degli ultimi 15 anni”.

I problemi potrebbero aumentare con il rallentamento dell’economia americana. Rich Hill, Responsabile della strategia immobiliare di Cohen & Steers, aveva già previsto che le valutazioni degli immobili commerciali statunitensi sarebbero scese del 20%-25% nel corso del 2023, fino a raggiungere il 30% nel caso degli uffici.

Il fenomeno sta iniziando a interessare anche l’Europa. Le banche europee hanno circa 1.400 miliardi di euro in prestiti al settore immobiliare commerciale e questo fa aumentare le preoccupazioni degli investitori sulla capacità dei finanziatori di gestire il rischio.

Particolarmente attenzionati sono gli istituti tedeschi, perché il Paese si trova nella peggiore crisi immobiliare degli ultimi decenni, caratterizzata da insolvenze, blocco delle costruzioni edilizie e congelamento degli accordi immobiliari. In Germania, la più grande economia d’Europa, i prezzi degli immobili commerciali sono scesi del 10,2% nel 2023, secondo l’associazione bancaria Vdp. Con 285 miliardi di euro di prestiti immobiliari commerciali, gli istituti di credito tedeschi rappresentano circa un quinto dei 1.400 miliardi di euro di prestiti delle banche dell’Unione europea al settore, sulla base dei dati dell’Autorità bancaria europea.

Tuttavia, secondo i dati della Banca Centrale Europea, le contrazioni sono state simili in media in tutta l’area dell’euro e le difficoltà potrebbero interessare anche le banche in Francia e nei Paesi Bassi, che sono tra i maggiori finanziatori immobiliari commerciali in Europa. Secondo i dati dell’Eba, le banche francesi, tedesche, olandesi, italiane e spagnole sono le più grandi per prestiti immobiliari erogati.

Ma come sottolinea Moody’s, la maggior parte delle banche dell’Unione europea non ha un’esposizione diretta agli immobili commerciali statunitensi e questo argina i rischi di un “contagio” della crisi americana nell’Unione.

La crisi immobiliare interessa anche la Cina, la cui economia dipende per un quarto proprio da questo settore.

Il mercato ha iniziato a rallentare dopo che Pechino, preoccupata per una bolla immobiliare e un suo potenziale impatto sul sistema finanziario, ha introdotto nel 2020 una serie di normative volte a frenare l’eccessivo indebitamento degli sviluppatori immobiliari. Senza un facile accesso ai debiti, gli sviluppatori hanno faticato a ripagare i prestiti e a finire di costruire proprietà che sono state vendute in anticipo agli acquirenti di case. Come stima Nomura Securities, una società giapponese di servizi finanziari, ci sono ancora 20 milioni di case pre-vendute in attesa di essere completate, con costi per l’ultimazione dei lavori che arrivano a 450 miliardi di dollari.

Dal 2021, più di 50 società immobiliari cinesi sono inadempienti sui debiti, comprese le due società che dominavano il mercato immobiliare del Paese, Evergrande e Country Garden. Quest’ultima è andata in default a ottobre, dichiarandosi inadempiente su cedole di obbligazioni per 22,5 milioni di dollari.

E dopo il crac di Evergrande, indebitato per 330 miliardi di dollari (dati di giugno 2023), il settore potrebbe contrarsi ulteriormente: secondo dati di Dongxing Securities, una banca d’investimento cinese, le vendite di abitazioni sono diminuite complessivamente del 6,5% nel 2023, raggiungendo a dicembre un calo del 17,1% rispetto all’anno precedente.

«Il mercato non ha ancora toccato il fondo», ha affermato Alicia Garcia-Herrero, Capo economista per la regione Asia-Pacifico di Natixis. «C’è ancora molta strada da fare».

La crisi cinese rischia di diventare endemica e causare una reazione a catena. Nel 2023 le borse cinesi hanno segnato -11% sui volumi mentre gli Stati Uniti registravano un + 24%. Iniziano a salire anche i malumori: ad agosto, alcuni risparmiatori hanno protestato presso le autorità di Pechino dopo che non si sono visti rimborsare le cedole e i bond in scadenza di diverse società del Zhongrong International Trust, partecipato dal Zhongzhi Enterprise Group, una conglomerata del risparmio gestito con attivi per 137 miliardi di dollari.

Con i portafogli nazionali in difficoltà alcuni investitori cinesi che hanno acquistato proprietà in tutto il mondo potrebbero aver bisogno di raccogliere liquidità e potrebbero iniziare a scaricare asset esteri, deprimendo i valori immobiliari. Se i consumatori iniziano a lottare seriamente con l’aumento dei tassi di interesse sui prestiti auto o sulle carte di credito è possibile che più istituti finiscano in una situazione simile a quella dell’Nycb.

Le persone iniziano quindi a temere che il passaggio al lavoro da casa possa finire per causare un disastro finanziario, peggiorando ulteriormente la crisi in corso. Se la crisi del settore immobiliare verrà aggravata ulteriormente, il rischio sarà quello di una recessione dagli effetti potenzialmente letali non solo per le banche e gli istituti immobiliari, ma per un’importante parte della popolazione.

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