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Milano: la crisi abitativa è un problema strutturale

Nel capoluogo lombardo (ma non solo) il problema degli affitti e in generale dell’accesso a soluzioni abitative a canoni accettabili e del loro mantenimento è sempre più reale
Credit: Despina Galani  

Tempo di lettura 9 min lettura
7 dicembre 2023 Aggiornato alle 07:00

A settembre, in occasione dell’inizio del nuovo anno accademico, alcuni studenti universitari sono tornati a piantare le loro tende in Piazza Leonardo da Vinci, di fronte al Politecnico di Milano, per protestare contro i prezzi proibitivi degli affitti e rivendicare il diritto di frequentare l’università da fuori sede. Dalla scorsa primavera, quando Ilaria Lamera aveva dato il via alla protesta dormendo in quella piazza per diverse notti, la situazione è infatti rimasta invariata con costi alti, troppo spesso irraggiungibili.

È sufficiente fare un giro sui gruppi social dedicati alla domanda e offerta di stanze e appartamenti in affitto per capire che c’è qualcosa che non va. Il costo medio di una stanza singola difficilmente scende sotto i 600 euro, fino ad arrivare anche a 900 in alcune zone.

Non è un dato casuale. Secondo lo storico dei prezzi di affitto a Milano fornito da Idealista da gennaio 2013 a gennaio 2023 il costo medio di locazione al metro quadro è aumentato del 59%. In pratica se 10 anni fa un appartamento veniva pagato 14,5 euro al metro quadro, oggi si parla di 22,9 euro.

Dal 2015, l’anno di Expo, fino a oggi i contratti di affitto sono aumentati in numero. Le persone continuano ad arrivare in città, sempre più attrattiva anche a livello universitario, e cercano un posto in cui vivere.

Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate (Omi) i contratti di locazione sono passati da 40.165 nel 2015 a 55.830 nel 2021. Ma la durata è minore rispetto a prima, da uno a tre anni, e si conta una quota molto bassa delle formule a canone concordato e agevolato per studenti.

Sempre secondo questi dati dal 2015 al 2022 il canone di locazione, ovvero il costo degli affitti, è cresciuto mediamente del 33,8% (da 129,6€/mq annuo nel 2015 a 173,4€/mq annuo nel 2022).

Stando a quando i ricercatori hanno raccolto osservando la piattaforma immobiliare.it invece, la crescita è del 31,5%, ma prendendo in considerazione soluzioni decisamente meno abbordabili (da 182,4€/mq annuo nel 2015 a 239,9€/mq annuo nel 2022).

«Servirebbero delle politiche fiscali di penalizzazione sullo sfitto e agevolazioni per chi mette a disposizione appartamenti in affitto a prezzi calmierati», racconta Angelo, rappresentante del comitato Abitare in via Padova e tra i promotori di Chiediamo Casa, una campagna che raccoglie l’esperienza di vari gruppi che operano sul territorio sul tema. Una realtà che lavora e chiede interventi concreti principalmente su quattro aree: «Taglio degli affitti, limitazione degli affitti brevi e delle locazioni turistiche, un nuovo piano per l’edilizia pubblica e un ripensamento del modello di housing sociale».

Costi e salari: direzioni ostinate e contrarie

Anche per quanto riguarda l’acquisto di un immobile l’andamento nel tempo non lascia ben sperare.

Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio Casa Abbordabile di Milano Metropolitana, pubblicato a novembre 2023, dal 2015 al 2021 il prezzo al metro quadro degli immobili è salito mediamente del 40,7% (e del 50,1% tra 2015 e 2022) anche nei quartieri tendenzialmente riconosciuti come meno costosi.

Una situazione decisamente controcorrente rispetto allo stato economico delle famiglie e in generale dei cittadini, che non va di pari passo con i costi. Sempre secondo quanto calcolato da Oca, “nel periodo 2015-2021, la retribuzione media dei milanesi è cresciuta dell’8,46%, ma per lavoratori come gli operai la crescita è stata solo del 3,11%”.

In una Milano sempre più attrattiva per turisti e investitori, a restare indietro sembrano essere proprio le famiglie, quelle che dovrebbero essere il cuore pulsante della città.

E sono proprio loro i nuovi utenti principali di sindacati e comitati di inquilini. Dopo la crisi dovuta alla pandemia, magari con conseguente perdita del lavoro, in molti non sono più stati in grado di mantenere il canone di locazione, finendo per indebitarsi e a perdere la casa.

Sfratti e pignoramenti

Secondo i dati rilasciati dall’Ufficio centrale di Statistica del Ministero dell’Interno raccolti ed elaborati sempre da Oca, nel corso di sette anni, dal 2015 al 2022, nel comune di Milano sono stati emessi provvedimenti di sfratto per 10.040 nuclei familiari (in media circa 1.255 l’anno), l’87% dei quali per morosità.

Carmelo Benenti, Segretario generale di Sunia Milano, racconta che «Il Ministero dell’Interno ha comunicato che solo nel 2022 la città metropolitana ha visto 2.142 provvedimenti di sfratto emessi, 2.311 richieste di esecuzione e 612 sfratti eseguiti. A questo bisogna aggiungere i pignoramenti, che, stimiamo, aumenteranno con il rialzo dei tassi di interesse. Quindi la gente non sarà più in grado non solo di pagare l’affitto ma nemmeno di sostenere le rate del mutuo».

Oggi i dati dei provvedimenti toccano quasi 5.000 famiglie. Di fatto, spiega Benenti, per contrastare l’aumentare dell’inflazione si stanno ricreando le condizioni del 2011.

Ulteriore problema per molti è l’aver già chiesto la sospensione del mutuo durante la pandemia da Covid-19, sospensione che non può essere reiterata all’infinito.

Insomma, il costo della vita è aumentato e i rincari hanno colpito tutti gli aspetti della vita dei cittadini, dal settore dei servizi a quello alimentare, così come le spese condominiali. I mutui sono sempre più insostenibili.

Vuoti a perdere

«Oggi non ci sono più investimenti specifici sulla casa», spiega Benenti. «Sono 30 anni che non si investe più in edilizia pubblica e lo Stato non costruisce più case né le ristruttura in maniera continuativa».

Un tema molto importante a oggi è quello degli appartamenti pubblici vuoti, per diverse ragioni. «Negli alloggi di edilizia residenziale pubblica il vuoto è un tema predominante. Mettiamo il caso che ci siano 6.000 sfrattati e 6.000 case vuote di proprietà del Comune, senza contare quelle di Aler su livello regionale, si potrebbe arrivare a una soluzione per non far finire le persone in strada. Ma gli enti gestori non sono più in grado di ristrutturarle e rimetterle a disposizione della gente. E quando demandano ai grandi investitori privati, non viene riservata una quota di edilizia residenziale pubblica rilevante, la cosiddetta Erp. È necessario quindi cambiare il modello di costruzione, creando una commistione tra pubblico e privato».

Quando il Comune consente ai costruttori di iniziare un lavoro per un nuovo immobile, infatti, riceve i cosiddetti oneri di urbanizzazione, ovvero una quota che gli viene versata per ottenere il permesso a costruire.

Questi soldi servono a sostenere una serie di servizi di cui beneficiano tutti gli abitanti della zona di costruzione. «Dall’altro lato però», spiega Benenti, «non si riserva una quota necessaria a sostenere il fabbisogno abitativo dell’edilizia pubblica. E questo andrebbe fatto».

Il tema dei vuoti però interessa anche interi edifici privati, sparsi in tutta la città. «Nei vari quartieri di Milano ci sono molti stabili vuoti, sotto gli occhi di tutti gli abitanti», prosegue Angelo. «Questi stabili potrebbero essere oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, con un piano di acquisizione per l’edilizia pubblica o cercando di capire le intenzioni dei proprietari. In una città come Milano in cui è assurdo pensare ad altro consumo di suolo, bisogna iniziare a ragionare davvero sull’utilizzo di ciò che è già presente».

La fascia grigia

Un altro tema importante è che la cosiddetta fascia grigia, ovvero la fetta sempre più consistente di persone con un Isee dai 16.000 euro annui lordi, risulta esclusa dal mercato delle locazioni sia private che pubbliche.

«Queste persone sono considerate troppo ricche per accedere alle case popolari ma di fatto sono troppo povere per il mercato», prosegue Benenti. «Quindi tendenzialmente avevano una casa, in affitto o acquistata tramite mutuo, ma non sono più in grado di sostenerne i costi dato che gli stipendi non crescono a differenza di tutto il resto. E se il potere di acquisto diminuisce e non aumenta significa che il sistema si è inceppato. Per questo noi chiediamo investimenti strutturali a livello nazionale, il rifinanziamento del fondo morosità incolpevole tolto dal Governo attuale e l’intervento sui nuovi costruttori immobiliari».

Una possibile soluzione per chi si trova nella fascia grigia potrebbe essere rappresentata dall’housing sociale che tuttavia purtroppo non funziona come dovrebbe, nonostante lo scorso anno sia stata annunciata dalla Giunta regionale una misura da 48 milioni di euro.

«Dove funziona, l’edilizia residenziale sociale è gestita da un pubblico e offre alloggi in affitto a prezzi calmierati», spiega Angelo di Chiediamo Casa. «Il problema è che da noi negli ultimi 10 anni ne è stato dato in compravendita a privati il 70%».

Sono loro, i privati, a scegliere a chi destinare l’immobile tramite bandi che richiedono Isee anche molto alti. Quindi questa possibilità, che nasce per una classe media che ha bisogno di soluzioni abitative, non risponde più alle famiglie in difficoltà.

Affitti brevi

Anche il mercato delle locazioni brevi a Milano è sempre più diffuso, ed è un gran problema.

Secondo i dati raccolti sul sito Inside Airbnb, sul territorio della città Metropolitana al momento sarebbero presenti oltre 24.000 appartamenti messi a disposizione per affitti di pochi giorni a prezzi esorbitanti.

«Se tutti questi appartamenti fossero a disposizione di chi ha bisogno di una casa, si verificherebbe un generale abbassamento dei prezzi».

Secondo le informazioni recuperate da Chiediamo Casa, durante i periodi di maggiore flusso turistico per Milano come le varie settimane tematiche, una buona quota degli appartamenti che vengono messi sulle piattaforme per la prima volta finiscono per rimanerci. «Inoltre molti spazi ormai vengono gestiti da agenzie, è un mercato a tutti gli effetti».

Sono molte le città nel mondo ad aver scelto di porre un freno agli affitti brevi, New York in primis ha messo in campo una delle politiche più restrittive a riguardo.

In Italia la proposta non è ancora sufficiente. «Se tu lasci tutto in balia del mercato si crea speculazione», conclude Angelo. «Non si può pensare di basare sul mercato immobiliare l’asset economico di una città. Perché questo genera rendita, ma non ricchezza distribuita. È un modello che va messo in discussione».

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