Ambiente

Amazzonia: abbiamo 25 anni di tempo prima del “punto di non ritorno”

Un nuovo studio internazionale pubblicato su Nature racconta che, entro il 2050, potremmo perdere circa il 47% del polmone verde a causa di deforestazione, surriscaldamento e impatto antropico
Credit: Boudewijn Huysmans 

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15 febbraio 2024 Aggiornato alle 14:00

Potenzialmente, un bimbo nato oggi all’età di 25 anni potrebbe ritrovarsi in un mondo senza più l’Amazzonia come la conosciamo ora.

Entro il 2050 infatti, ci dice una nuova ricerca fra le più complete degli ultimi anni, quasi la metà (il 47%) del grande polmone sudamericano ai ritmi attuali di impatto antropico e crisi climatica potrebbe toccare un punto di non ritorno.

Significa che superato quel punto critico non avremo più la possibilità di invertire i processi di deterioramento degli ecosistemi.

Le cause sono note: la deforestazione legata allo sfruttamento delle terre per allevamenti e pascoli (quelli con cui si produce cibo o mangime che poi arriva anche in Europa), lo stress idrico, le alte temperature dovute dal riscaldamento globale, gli incendi e i sempre minori spazi dove vivono i popoli originari, i veri custodi di quelle terre.

Tutte criticità che stanno portando questo luogo verde indispensabile per gli equilibri del Pianeta, verso un futuro nero.

Non a caso la Cop30, una delle più simboliche e importanti di sempre, nel 2025 si terrà proprio a Belem, città brasiliana dello stato del Pará in Amazzonia, anche nel tentativo di far aprire gli occhi al mondo su questa crisi.

Nel frattempo però a metterci in guardia è lo studio appena pubblicato sulla rivista Nature da un team internazionale di esperti da tutto il mondo, dai ricercatori brasiliani fino a quelli di Oxford, Barcellona o del Potsdam Institute for Climate Impact.

Lo studio sostiene che i vari fattori che stanno indebolendo l’Amazzonia la spingono verso una soglia critica ed entro 25 anni tra il 10 e il 47% della foreste toccherà appunto un momento di “non ritorno”.

Servono dunque azioni immediate e correttive per ripristinare le aree degradate e migliorare la resilienza. Il primo autore dello studio, Bernardo Flores dell’Università Federale di Santa Catarina in Brasile, spiega come le analisi purtroppo indicano un passaggio da declino lento a rapido prima di quanto ci si potesse aspettare.

“Entro il 2050, tutto accelererà rapidamente. Dobbiamo rispondere adesso. Una volta superato il punto critico, perderemo il controllo su come si comporterà il sistema”. Un collasso che ovviamente avrà ripercussioni a catena ovunque, dato che in totale l’Amazzonia immagazzina carbonio equivalente a circa 15 o 20 anni delle attuali emissioni di CO2 umane.

Tra i problemi legati all’alterazione dovuta alle attività umane c’è poi anche il funzionamento stesso dell’ecosistema dato che la foresta in molte aree produce meno pioggia rispetto a prima e si sta trasformando da deposito che stocca il carbonio a emettitore di carbonio. Processo che avvia in determinate zone la “savanizzazione” dell’Amazzonia.

La soglia stimata per non andare oltre il punto critico è in sostanza quella di mantenere la deforestazione al 10% della regione amazzonica, ma l’abbiamo già superata: lo studio rivela infatti che il 15% dell’Amazzonia è già stato di fatto fortemente impattato e un altro 17% è stato degradato dalle attività umane, come il disboscamento, gli incendi e l’estrazione mineraria.

Inoltre un ulteriore 38% potrebbe essere indebolito a causa della prolungata siccità dell’ultimo decennio in un contesto dove le temperature della stagione secca sono ormai già di 2 °C più alte rispetto a 40 anni fa nelle parti centrali e meridionali dell’Amazzonia.

I cambiamenti delle piogge stanno inoltre portando la zona centrale e periferica a diventare sempre più secca mentre quelle occidentali e orientali più umide, cambiamenti che avrebbero impatti pesanti sul 10% di tutta la biodiversità terrestre ospitata dall’Amazzonia.

Per Flores “dobbiamo aspettarci che le cose accadano prima di quanto pensassimo. Dobbiamo affrontare questo problema con un approccio molto precauzionale. Dobbiamo raggiungere l’obiettivo zero delle emissioni nette e della deforestazione netta il più rapidamente possibile. È necessario farlo adesso. Se perdessimo l’Amazzonia, sarebbe problematico per l’umanità”.

Quel “tutta l’umanità” diventa ancor più chiaro se si pensa a come gli equilibri dell’Amazzonia incidono su tutto il resto del mondo. Come ha spiegato molto semplicemente un altro autore dello studio, Boris Sakschewski, va infatti sempre ricordato che “la perdita di foreste in un luogo può portare alla perdita di foreste in un altro”.

La buona notizia è che però siamo ancora in tempo, se iniziassimo ad agire subito, soprattutto in termini di stop alla deforestazione e agli impatti antropici, per scongiurare il punto di non ritorno verso cui si sta avviando il grande polmone verde.

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