Economia

Finanza verde: l’Italia è un terreno fertile per il settore cleantech

Mentre le utilities (imprese che forniscono servizi essenziali tra cui gas, elettricità e acqua) aumentano gli investimenti in decarbonizzazione, economia circolare e digitale, i fondi di venture capital (esterni alle aziende) puntano sempre più sulla tecnologia green
Credit: EPA/ALEX PLAVEVSKI
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22 febbraio 2024 Aggiornato alle 09:00

Con il termine utilities si intendono quelle società che forniscono servizi essenziali al pubblico, come a esempio la produzione e il trasporto di energia elettrica, gas naturale, acqua e smaltimento dei rifiuti. Attività che, per quanto essenziali, sono responsabili di una parte significativa delle emissioni inquinanti; inoltre, soffrono per gli aumenti vorticosi dei prezzi delle materie prime utilizzate per generare energia elettrica e gas: una situazione che porta a un inevitabilmente aumento delle tariffe per i clienti.

È proprio questo il motivo per cui sempre più aziende hanno scelto di puntare su un repentino processo di decarbonizzazione che riesca a recuperare le perdite e ridurre il proprio impatto sull’ambiente, a beneficio di tutti. Lo conferma lo studio Le utilities italiane per la transizione ecologica e digitale curato dalla Fondazione Utilitatis, fornitrice di consulenza tecnica alle imprese, insieme a Utilitalia, Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas.

Nel 2022, fra i 6,2 miliardi di euro investiti complessivamente dalle 89 aziende esaminate, ben 1,8 miliardi sono stati destinati a progetti di decarbonizzazione, economia circolare e digitalizzazione. Un aumento del 35% rispetto all’anno precedente, che conferma il ruolo chiave che le imprese del settore occupano nel percorso, complesso ma necessario, verso la neutralità climatica.

Setacciando fra le varie voci di investimento, l’utilizzo di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica rappresenta l’81% degli oltre 830 milioni di euro dedicati alla decarbonizzazione, finalizzata dunque alla riduzione dei livelli di gas serra nell’atmosfera generati durante le attività ordinarie delle utilities del settore.

A seguire, sempre più utillities impiegate nella raccolta e smaltimento rifiuti hanno scelto di acquistare quasi 9.000 mezzi di trasporto con minori impatti ambientali rispetto a quelli circolanti. Fra i più recenti investimenti in questo campo, spunta il rinnovo del parco veicoli realizzato questa estate da Amiu, azienda impegnata nella gestione del ciclo dei rifiuti, che ha acquistato per quasi 3 milioni di euro ben 45 nuovi mezzi elettrici (e relative colonnine di ricarica) per la pulizia del centro storico genovese.

Un caso che rende bene l’idea di quanto sia solido il rapporto tra le utility italiane e il territorio di riferimento, dato che il legame con le amministrazioni locali si è rafforzato del 18% rispetto al 2021, attestandosi a 12,7 miliardi di euro. Sostegni importanti che ampliano i loro effetti anche nell’economia locale, fra fornitori e società partecipate, per un ammontare totale di 33,7 miliardi.

Crescono poi dell’84% le somme canalizzate verso progetti di economia circolare, nell’intento di realizzare un nuovo modello di produzione basato sulla riduzione al minimo degli sprechi per massimizzare l’utilizzo delle risorse, allungando quindi il ciclo di vita dei prodotti e dei materiali attraverso il loro riciclo, riutilizzo e recupero. Un capitolo di spesa che solo nel 2022 si è incrementato dell’84% rispetto all’anno precedente, schizzando rapidamente verso il mezzo miliardo di euro.

La spinta alla digitalizzazione, con un livello di spesa in aumento del 41% rispetto al 2021 (420 milioni di euro), rientra fra le sfide più importanti per la costruzione di una transizione energetica, in quanto permette l’ottimizzazione delle reti, con un monitoraggio in tempo reale dei flussi di energia per una migliore gestione della domanda e dell’offerta e soprattutto per la riduzione delle perdite durante la distribuzione (soprattutto per le reti idriche); inoltre, rappresenta una enorme risorsa per l’analisi dei dati, il controllo delle emissioni inquinanti e l’ottimizzazione dei consumi.

Digitalizzare i processi produttivi rappresenta quindi un potente strumento per le aziende di servizi pubblici per migliorare la propria performance ambientale. Gli investimenti si indirizzano verso l’implementazione di tecnologie innovative, come a esempio contatori intelligenti (o smart meter) in grado di registrare i consumi di energia elettrica o di gas con cadenza oraria, trasmettendoli direttamente al fornitore per una fatturazione più precisa e puntuale, oltre a identificare eventuali perdite nella rete di distribuzione e consentire agli utenti un controllo più smart dei propri consumi.

A cambiare non sono solo le somme investite in favore della transizione green, ma anche le impalcature burocratiche e strutturali delle aziende stesse, che sempre più frequentemente si dotano di rapporti di sostenibilità (47%), con organi dedicati, obiettivi da raggiungere in tema di Esg (in cui si affaccia il dato della quota di donne che siedono nei consigli di amministrazione pari al 36%) e rendicontazione finanziaria.

Quest’ultimo ambito si collega al ben più ampio campo della finanza verde, un palco che sempre più realtà imprenditoriali ambiscono a raggiungere per mostrarsi più trasparenti e sostenibili agli occhi del mercato, soprattutto ai capitali più “coraggiosi”. Se da un lato, infatti, tutto l’interesse degli investitori verso prodotti finanziari green viene danneggiato da flussi di denaro di ben 7.000 miliardi verso attività ad alto impatto ambientale, è da segnalare tuttavia che l’interesse dei fondi di venture capital italiani verso le tecnologie e i servizi per la lotta al cambiamento climatico è aumentata notevolmente.

Questa tipologia di fondi raccolgono capitali da investitori istituzionali e privati per poi investirli in startup e aziende innovative ad alto potenziale di crescita. Pur rappresentando quindi un altissimo rischio, il venture capital assume un ruolo chiave nello sviluppo di nuove realtà imprenditoriali di elevato valore tecnologico e ambientale.

Il settore del cleantech, comprendente tecnologie, servizi e prodotti capaci di ridurre gli impatti ambientali negativi attraverso processi sostenibili, è riuscito a conquistare il primo posto fra i vari volumi di investimenti venture capital del 2023, con un balzo del 120% (da 42,1 a 90,6 milioni di euro) e una crescita «dieci volte superiore rispetto alla media europea» negli ultimi due anni, commenta Marco Faccio, membro del team di innovation analyst di Dealroom, società di gestione di banche dati con sede ad Amsterdam.

Questi sono i dati raccolti da Growth Capital, banca di investimento specializzata in aumenti di capitale, operazioni finanziarie e di consulenza dedicate alle startup (specialmente nel settore tecnologico), secondo cui l’Italia ha il potenziale necessario a recuperare in maniera costante il distacco ancora forte con altri paesi europei come Germania, Francia e Regno Unito, in cui l’ecosistema delle startup attive nella sostenibilità è più avanti di 15 anni.

Un successo che vede il Belpaese in una posizione privilegiata, dato che «con 4.298 imprese, l’Italia è seconda in Europa per numero di aziende cleantech, dietro alla Germania (4.616)» afferma Massimo Colombo, professore di entrepreneurship and entrepreneurial finance presso la School of Management del Polimi.

In particolare, i settori più interessati dagli investimenti si legano alle tecnologie per supportare l’energia solare ed eolica, la decarbonizzazione, l’elettrificazione dei veicoli e l’idrogeno. E il nostro Paese si mostra come un vero e proprio «terreno fertile per lo sviluppo di start up green» commentano Gimede Gigante, direttore del centro Ice (Innovation and Corporate Entrepreneurship, che offre servizi di consulenza aziendale in collaborazione con Sda Bocconi) e la research assistant Francesca Scarlini, che proprio nell’alta qualità della ricerca e nel livello universitario vedono un asset strategico tutto italiano, «da alimentare con un mix di strategie che comprenda incentivi per i venture capitalist che investono in start up green, collaborazione pubblico-privata e supporto alla ricerca».

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