Diritti

Diritti umani: l’azienda tedesca “Basf lasci lo Xinjiang per abusi contro gli uiguri”

La lettera firmata da più di 30 politici chiede al gigante chimico di ritirarsi dalla regione: secondo l’inchiesta dei media Der Spiegel e Zdf, nel 2018 e 2019 alcuni impiegati avrebbero spiato le minoranze etniche
Credit: Sachelle Babbar/ZUMA Wire
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 febbraio 2024 Aggiornato alle 14:00

Il gigante chimico tedesco Basf è stato esortato a lasciare lo Xinjiang perché “sembra essere implicato in abusi grossolani” nei confronti degli uiguri, la popolazione di origini turche a maggioranza mussulmana che abita la regione nel nord-ovest della Cina. A sostenerlo è un gruppo di 34 politici che ha scritto una lettera al presidente dell’azienda, Martin Brudermüller, dopo che i media tedeschi Der Spiegel e Zdf hanno pubblicato un’indagine congiunta la scorsa settimana.

La lettera, che si può recuperare sul profilo X dell’Inter-Parliamentary Alliance on China (Ipac), un gruppo di legislatori che concentra il proprio lavoro sulla Cina, è stata firmata da eurodeputati e deputati provenienti da Regno Unito, Canada, Irlanda, Germania, Svizzera, Paesi Bassi e molti altri (esclusa l’Italia).

Dalla sua pubblicazione, il 6 febbraio, 27 membri del Parlamento europeo hanno aggiunto la propria firma al documento “per lamentare la presunta complicità dell’azienda nelle atrocità dello Xinjiang”.

Dal 2016, come spiega Basf sul proprio sito, la multinazionale tedesca della chimica presente anche in Italia con 12 sedi gestisce 2 joint venture di produzione nello Xinjiang in cui realizza due prodotti chimici (butandiolo e Thf - politetraidrofurano) in impianti tecnicamente avanzati. La prima è una sostanza chimica che viene utilizzata nella plastica e nell’abbigliamento sportivo, l’altro è un materiale utilizzato per realizzare fibre elastiche di spandex.

In totale, le 2 sedi di Korla, la Capitale della dell’enorme prefettura di Bayin’gholin Mongol, hanno circa 120 dipendenti. Secondo quanto emerso dalle inchieste dei media tedeschi, nel 2018 e nel 2019 le persone impiegate dalla società partner cinese di Basf, Xinjiang Markor Chemical Industry, avrebbero preso parte a un’iniziativa governativa chiamata fanghuiju: insieme a funzionari statali cinesi, avrebbero fatto una serie di visite a domicilio agli uiguri, che secondo i gruppi per i diritti umani sarebbe servite a spiare le famiglie uigure e indottrinarle.

La campagna fanghuiju prevede che i funzionari di agenzie governative, imprese statali e istituzioni pubbliche dello Xinjiang, spiega Der Spiegel, visitino gli 11 milioni di uiguri e le altre minoranze turco-musulmane, uiguri che abitano la regione per raccogliere informazioni e monitorare il loro comportamento. Nel 2018 Human Rights Watch aveva descritto queste visite imposte come delle occasioni in cui “le famiglie sono tenute a fornire ai funzionari informazioni sulla loro vita e sulle loro opinioni politiche e sono sottoposte a indottrinamento politico”. Questo programma, secondo la Ong, violerebbe “i diritti alla privacy e alla vita familiare, nonché i diritti culturali delle minoranze etniche tutelati dalle leggi internazionali sui diritti umani”.

La lettera inviata lunedì a Brudermüller, riporta il quotidiano britannico Guardian, sostiene che la recente indagine riveli “il grado scioccante in cui la vostra azienda sembra essere implicata in gravi abusi contro gli uiguri e altre minoranze prevalentemente turche nella regione. Come sostenitori della responsabilità aziendale, della due diligence sui diritti umani e del rispetto dei diritti fondamentali, esortiamo Basf a ritirarsi dallo Xinjiang. Sono in gioco la credibilità e l’integrità della vostra azienda e riteniamo fondamentale che intraprendiate un’azione rapida e decisiva per affrontare la questione”.

I politici sperano che il gigante chimico “prenda sul serio la questione e dia priorità al benessere di coloro che nello Xinjiang soffrono gravemente a causa di politiche oppressive e discriminatorie”.

Un portavoce di Basf ha dichiarato di non avere motivo di credere che “i dipendenti delle nostre joint venture siano stati coinvolti nelle misure descritte. Indipendentemente da ciò, prendiamo molto sul serio i rapporti attuali, continueremo a indagarli e ne terremo conto nella nostra valutazione dei rapporti commerciali”. L’azienda sostiene di non essere a conoscenza di eventuali segnalazioni effettuate dai dipendenti della filiale Markor. Dagli audit effettuati nel 2019, 2020 e 2023 nelle joint venture a Korla non emergono, secondo Basf, prove di lavoro forzato o altre violazioni dei diritti umani.

Le minoranze etniche che abitano la regione, al di fuori delle visite previste dalla campagna fanghuiju, descrivono un alto grado di controllo della loro vita quotidiana da parte delle autorità cinesi. Nel 2022 l’allora Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, aveva pubblicato un report in cui accusava la Cina di “gravi violazioni dei diritti umani”. Pechino nega le accuse di abusi e insiste che le sue azioni nello Xinjiang abbiano contribuito a contrastare l’estremismo e a migliorare lo sviluppo della regione.

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