Culture

“Killers of the Flower Moon”: quando la sete di potere distrugge il pianeta Terra

L’ultima fatica cinematografica del regista Martin Scorsese è una storia di soprusi e sfruttamenti da parte del popolo statunitense a danno delle popolazioni indigene e dell’ambiente naturale in cui vivono
Credit: 01 Distribution
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18 febbraio 2024 Aggiornato alle 20:00

Killers of the Flower Moon, già presentato fuori concorso durante la 76° edizione del Festival internazionale di Cannes, racconta la storia - non così nota al grande pubblico - di un gruppo di avidi possidenti terrieri che, desiderosi di ampliare i propri appezzamenti, è disposto a compiere i più efferati crimini pur di eliminare ogni ostacolo sulla loro via.

Martin Scorsese torna dietro alla macchina da presa e decide di farlo trasponendo sul grande schermo una storia realmente accaduta, tratta dal saggio scritto dal giornalista David Grann, Gli assassini della Terra Rossa: affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera (Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI).

Il saggio racconta di una triste pagina nella storia degli Stati Uniti d’America, che tra le varie istituzioni ha visto anche il coinvolgimento dell’appena nata FBI, diretta da un giovane J. Edgar Hoover.

Le vicende prendono vita nell’Oklahoma degli Venti del Novecento, precisamente a Fairfax. La popolazione nativa degli Osage è la componente più agiata e ricca della società di questo stato ed è osteggiata dal resto del popolo statunitense, che, con occhio razzista, invidia e disprezza questo accumulo di ricchezza, dovuto alla scoperta di grandi giacimenti petroliferi in corrispondenza delle terre Osage.

Il film si apre con la scena particolarmente incisiva di alcuni nativi che, di fronte a un’improvvisa fuoriuscita di petrolio dal suolo, ballano sotto una densa e fitta pioggia nera, in forte contrasto cromatico con la pianura soleggiata che fa da sfondo ai personaggi inquadrati. La scena, di grande impatto visivo, orienta subito lo spettatore su uno dei temi chiave che accompagneranno tutta la storia: la ricerca e la sete di controllo, da parte di pochi signori bianchi, su questi precisi appezzamenti di terreno.

Tra i vari signorotti potenti di Fairfax emerge la figura di William Hale (Robert de Niro), che accoglie a braccia aperte il nipote Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), di ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, con la garanzia che in Oklahoma troverà una vita migliore e felice. William, apparentemente amico degli Osage - tanto che ha imparato a parlare la loro lingua per comunicare meglio con loro - in realtà ha già escogitato un piano per sottrarre progressivamente sempre più terreni alla popolazione nativa, con lo scopo di impossessarsi dei giacimenti di petrolio e arricchirsi una volta per tutte.

Combina, quindi, un matrimonio tra il nipote Ernest e Mollie Kyle (Lily Gladstone), giovane “ereditiera” Osage dei diritti petroliferi che la sua famiglia possiede e, nel frattempo, procede a avvelenare i membri della famiglia Kyle, compiendo una silenziosa strage (tutte le morti sono, infatti, riconducibili a suicidi o malattie) tra gli abitanti Osage di Fairfax.

Scorsese racconta la storia dal punto di vista di chi perpetra questi omicidi, scavando a fondo sul carattere eternamente insaziabile e avido dei personaggi di William, mente diabolica del piano, e di Ernest, suo modesto aiutante e collaboratore nell’attuazione del progetto.

William, a costo di impossessarsi di un bene che già al tempo era considerato “oro nero”, non si ferma di fronte a niente e decide di portare a termine queste uccisioni come unico metodo per poter avere il controllo sui giacimenti e sugli appezzamenti di terra pur essendo quest’ultimi, da sempre, dominio e proprietà degli Osage. Guidato dalla bramosia di potere, William Hale è convinto di poter esercitare il proprio controllo su altri esseri umani e sulla natura stessa; in seguito alla strage e all’eliminazione sistematica di una popolazione intera, vuole piegare al proprio dominio anche le aree naturali che non gli appartengono.

Simbolo di una mentalità coloniale e imperialista, la stessa che ha portato gli Stati Uniti d’America a confinare entro “riserve” artificialmente costruite gran parte delle popolazioni indigene che, da sempre, abitavano il Nord America, Hale rappresenta l’insaziabilità del genere umano che, anche a costo di provocare catastrofi ambientali - contribuendo, di fatto, all’estinzione stessa dell’umanità e del pianeta Terra, su cui abita - e uccidere la sua stessa specie, non ha intenzione di fermarsi se l’obiettivo finale è quello di arricchirsi.

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