Diritti

Violenza di genere: il toolkit contro la diffusione non consensuale di immagini intime

La piattaforma Chayn Italia ha pubblicato un documento per supportare le vittime: una “cassetta degli attrezzi” per capire quali sono le conseguenze e cosa fare (nel mondo digitale e reale) per cercare aiuto e tutelarsi
Credit: chaynitalia.org 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
31 gennaio 2024 Aggiornato alle 14:00

Una mia foto o un mio video intimi sono stati diffusi in rete senza il mio consenso. E ora?

Proprio per rispondere a questa domanda, Chayn Italia (piattaforma femminista che contrasta la violenza di genere attraverso strumenti digitali e pratiche collaborative) ha lanciato un toolkit digitale per capire come affrontare quello che impropriamente viene chiamato “revenge porn” ma il cui nome corretto è Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime (o Dncii): non si tratta, infatti, di pornografia (un tipo di sex work) e il termine “vendetta” suppone una presunta colpa della vittima, che avrebbe fatto qualcosa per scatenare la reazione violenta.

Il documento, dedicato “a Tiziana Cantone e a tutte coloro che hanno sentito infrangersi patti di fiducia, comprensione e intimità. Non siete sole, siamo con voi” vuole essere una “cassetta degli attrezzi” per aiutare le persone che stanno vivendo questo tipo di violenza o per chi sta loro vicino. La Dncii è una forma di violenza digitale di genere e, dal 2019, un reato riconosciuto dal codice penale italiano.

“Ciò che non è reato, né una colpa” - enfatizza il documento - è esporre il tuo corpo: la colpa sta nel diffondere (o minacciare di diffondere) le immagini senza il tuo consenso”: utilizzare il nostro corpo e la nostra immagine come lo desideriamo è un diritto e in nessun caso la condivisione non consensuale è legittima o è una responsabilità della vittima.

Il toolkit, spiega Chayn, è frutto di un lavoro collettivo che ha coinvolto i centri antiviolenza, il progetto TEeN (dedicato alla diffusione della Dncii nell’adolescenza) e il questionario diffuso online nell’estate del 2021, dedicato a chi “aveva avuto esperienza diretta o indiretta di Dncii o aveva supportato una persona vicino a sé. […]”. A lavorare al documento sono state oltre 20 persone: ricercatrici, avvocate, psicologhe, operatrici anti-violenza ed esperte di violenza digitale di genere, che hanno unito le loro competenze per fornire uno strumento che possa essere un primo supporto a chi scopre di essere stata vittima di Dncii. Cercando di aiutarle prima di tutto a capire cosa è questo tipo di reato e, più in generale, cosa è la violenza digitale di genere (di cui è una delle manifestazioni) e cosa potrebbe accadere a chi lo subisce. Come potresti sentirti? Cosa potrebbe succedere intorno a te? Cosa potrebbe succedere a lungo termine?: sono domande a cui spesso non si riesce a trovare risposta ma che invece vengono analizzate dal documento, per poi passare alla risposta più “reattiva”, ovvero cosa fare praticamente.

Prima di tutto, segnalare: il toolkit spiega come farlo per le diverse piattaforme, ricordando che a esempio su Telegram, dove secondo uno studio la diffusione di Dcii è cresciuta del 1260% dal 2020, permette di segnalare solo gruppi e non i singoli contatti. In questo caso è possibile inviare una mail a abuse@telegram.org includendo il nome utente della persona (o le persone) che hanno diffuso le immagini senza consenso. “Tieni presente - si legge - che, purtroppo, Telegram in passato non si è mostrata reattiva in seguito a segnalazioni di questo tipo”.

Cosa fare, invece, nel mondo analogico? Le principali possibilità sono rivolgersi a un Centro Antiviolenza e alle autorità, per una denuncia. Le due non si escludono a vicenda: il Cav, infatti, può supportare chi lo desidera nel percorso legale, che viene spiegato nel dettaglio all’interno del documento. Ci si può rivolgere anche un medico di base, a uno psicologo privato, ai consultori o alla Polizia Postale. La scelta consigliata, però, è quella di rivolgersi al Cav: “le operatrici e le avvocate sapranno consigliarti, accompagnarti e supportarti in ogni tua scelta, avendo le competenze e la capacità di estendere a tutti gli attori coinvolti nel percorso la profonda consapevolezza che la violenza vissuta non sia responsabilità della donna stessa”.

Nel toolkit si trovano informazioni relative anche a come aiutare un’amica vittima di Dncii e, infine, su come come autotutelarsi nel digitale e come fare sexting nel modo più sicuro possibile, partendo dal presupposto che “vogliamo continuare a essere libere e, se ci va, inviare nostre foto come, quando, a chi vogliamo, anche come atto di sovversione e di autodeterminazione! La soluzione che proponiamo non è astenersi dalla sessualità e dalla relazione con il corpo, ma praticarle in modo consensuale e più sicuro possibile”.

Non si tratta di astenersi dal condividere immagini (come non è possibile combattere la violenza sui social media semplicemente cancellandosi, privando le donne dell’ennesima libertà) ma comprendere che dobbiamo fare i conti con una realtà in cui la Dncii può colpirci (sebbene ormai con i software di intelligenza artificiale qualunque immagine possa diventare un nudo in pochi click).

Specificare che l’immagine è solo per chi la riceve, utilizzare accorgimenti (seppur limitanti) al momento dello scatto (non inserire la faccia o elementi riconoscibili), utilizzare le funzioni delle varie piattaforme (illustrate dettagliatamente) sono tutte strategie che possiamo utilizzare per “prevenire” la Dncii. Usando il termine prevenzione tra molte virgolette, perché “non pensiamo sia compito tuo prevenire la Dncii: è compito delle altre persone rispettare la tua privacy e assicurarsi che ci sia il tuo consenso alla diffusione di immagini che ti coinvolgono. Mandare foto intime è normale e non c’è nulla di cui vergognarsi: è la società e la cultura patriarcale che deve cambiare, invertendo la tendenza alla sessualizzazione dei corpi femminili a costo della loro libertà”.

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