Diritti

Sex work: il modello svedese diventerà europeo?

In Svezia è illegale solo l’acquisto di servizi sessuali e non la vendita, sulla base del Nordic model che il Parlamento Ue vorrebbe esportare in tutti gli Stati membri. Ma molte organizzazioni non sono d’accordo
Credit: Womanizer Toys

Trovare un metodo condiviso per gestire il fenomeno della prostituzione sembra praticamente impossibile. C’è chi ritiene opportuno regolamentarla, chi è pronto a superare ogni pregiudizio e ostacolo morale per liberalizzarla, chi preferisce l’abolizione e chi, girandosi dall’altra parte, fa finta che non esista.

La Svezia in questo campo è sempre stata una delle più originali. Dopo aver inventato ed esportato altrove il cosiddetto modello nordico (che criminalizza soltanto i clienti dei servizi sessuali e non i sex workers, che restano liberi di offrire le proprie prestazioni senza alcuna sanzione) ha deciso che, come qualsiasi altra attività lecita, anche la prostituzione deve essere tassata.

Quasi contemporaneamente, i parlamentari europei hanno discusso e approvato un rapporto che vuole estendere il modello svedese (a prescindere dall’aspetto fiscale) a tutta l’Unione europea.

Modello nordico: cos’è?

Per capire come si è arrivati a riportare al centro del dibattito la linea svedese in materia di prostituzione, ripercorriamone le tappe dalle origini.

Nel tentativo di eliminare la domanda di prestazioni sessuali a pagamento e contrastare la tratta di persone (soprattutto donne) destinate al mondo della prostituzione, la Svezia è stata il primo Paese a introdurre con una legge del 1999 il modello abolizionista per cui è illegale soltanto l’acquisto (e non la vendita) di servizi sessuali.

L’approccio svedese nasce dall’assunto che la prostituzione rappresenterebbe sempre e comunque una forma di violenza di genere, a prescindere dal fatto che si fondi su uno scambio libero e consensuale tra persone adulte o sia determinata da eventuali condizioni di abuso o coercizione. Ha trovato applicazione anche in Norvegia, Islanda, Francia (dal 2016), Irlanda e, più di recente, in Israele, mentre una proposta di legge ispirata a principi simili è stata avanzata l’anno scorso in Spagna.

Se ne è parlato anche in Italia nella precedente legislatura con il disegno di legge, a firma della senatrice del M5S Alessandra Maiorino, che avrebbe voluto rafforzare la legge Merlin (che 65 anni fa decise la chiusura delle case di tolleranza) con l’imposizione di multe per i clienti e fino a 3 anni di carcere in caso di recidiva (l’esame del testo non è mai iniziato, ma il M5S punta a ripresentarlo a breve).

Tassazione del sex work in Svezia

Dopo oltre 20 anni dalla prima applicazione del modello, la Svezia si è ricordata che anche i sex workers producono reddito da attività lecite. Quindi, perché non tassare anche loro?

In questo senso, si è espressa l’Agenzia delle entrate svedese il 26 giugno con un comunicato pubblicato sul sito e riportato da Euractiv: “Chiunque abbia un reddito dalla vendita di servizi sessuali è legalmente obbligato a dichiararlo nella propria dichiarazione dei redditi e può pagare l’imposta sul proprio conto fiscale. È possibile pagare l’imposta in modo continuativo durante l’anno fiscale o in concomitanza con la presentazione della dichiarazione dei redditi”, si legge nel documento.

Detto così sembra tutto facile, ma anche l’Agenzia ha fatto sapere che comprende come in alcune situazioni di maggiore vulnerabilità per i sex workers sia “difficile rispettare le leggi sulla tassazione dei redditi da servizi, soprattutto data la natura criminale delle azioni degli acquirenti”. Resta il fatto che le leggi fiscali sono chiare e vincolano anche i lavoratori e le lavoratrici del sesso, ma per coloro che desiderano uscire dal mercato viene offerto l’accesso a servizi sociali e assistenza.

La votazione del Parlamento europeo

Il giorno successivo (27 giugno) proprio il modello nordico è stato oggetto di votazione in sede al Parlamento europeo per una sua possibile introduzione in tutti gli Stati membri. La commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere (Femm) ha approvato (con 16 voti a favore, 10 contrari e 3 astensioni) una relazione riguardo la regolamentazione della prostituzione nell’Ue che invita a fare ciò che la Svezia fa già da anni, ovvero depenalizzare il lavoro dei sex workers e punire con sanzioni penali i loro clienti.

Secondo il rapporto, il modello nordico avrebbe il vantaggio di ridurre la domanda di prostituzione e porre fine alla “stigmatizzazione delle persone che si prostituiscono [e] garantire strategie di uscita e accesso incondizionato ai sistemi di sicurezza sociale e reinserimento”.

La relatrice Maria Noichl (Gruppo S&D) ha manifestato il suo entusiasmo all’esito della votazione «su un tema controverso che ha diviso il movimento femminista per troppo tempo». Entusiasmo che, però, non è stato condiviso da molti sex workers e associazioni di categoria.

Cosa dicono le organizzazioni per i diritti dei sex workers?

In attesa del voto finale in sede plenaria, previsto per settembre, la proposta europea è stata molto criticata dalla European Sex Workers Alliance (Eswa), network di oltre 100 organizzazioni di lavoratori del sesso, che su Twitter ha denunciato come nessun rappresentante della comunità sia stato coinvolto nella preparazione del testo e come siano stati interpretati in modo errato i risultati di numerose ricerche scientifiche che sconfessano l’efficacia del modello svedese.

Tra i tanti, lo studio pubblicato il 10 giugno sulla rivista medica The Lancet ha evidenziato come la criminalizzazione del lavoro sessuale (anche per quanto riguarda i clienti) continua a mettere a rischio le condizioni di salute dei sex workers, soprattutto per l’Hiv e le malattie sessualmente trasmissibili.

Non solo, comporta anche la loro esclusione dai servizi sanitari, legali, economici e da altri servizi sociali e per queste ragioni, secondo lo studio, “la proposta dell’Unione europea è sbagliata. La criminalizzazione dei clienti è pericolosa per i sex workers perché i clienti che hanno paura della polizia chiedono prestazioni sessuali fuori dai luoghi in cui i lavoratori avrebbero maggiori strumenti di protezione, come la presenza di addetti alla sicurezza o l’aiuto in caso di clienti che rifiutano di usare il preservativo. L’Ue sta avanzando una proposta che rischia di aumentare la violenza nei confronti dei sex workers”.

Diverse organizzazioni internazionali, incluse Amnesty International, Ilga Europe e Human Rights Watch, chiedono da anni la piena depenalizzazione del sex work consensuale tra persone adulte. Le loro voci si sono spente dentro i palazzi dell’Unione europea.

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