Culture

Ricordare ciò che non si è vissuto per non doverlo vivere mai

Il 27 gennaio del 1945, il mondo scopriva nei campi di concentramento cosa succede quando ci si scorda di essere umani. Ed è per non dimenticarlo mai più che esiste la Giornata della Memoria
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27 gennaio 2024 Aggiornato alle 09:00

Che cos’è la memoria? Andiamo a vedere nel dizionario. Qui c’è scritto: «facoltà della mente umana di conservare, ridestare in sé e riconoscere nozioni ed esperienze del passato; capacità dell’uomo di ricordare». Più giù nella spiegazione, c’è scritto che quasi tutti gli organismi viventi hanno memoria, anche le piante e gli animali, anche le celluline piccole piccole. Avere memoria accomuna tutto ciò che è vivo, e questo è importantissimo.

Tutto in noi ha memoria. Le nostre gambette che non si scordano come si va in bicicletta, anche dopo molti anni. Il nostro naso, pronto ad agguantare un profumo per aprire un forziere di ricordi. Il nostro cuore, che si stringe di gioia o di malinconia quando ripensiamo al passato. La nostra testolina che ricorda date, numeri di telefono, tabelline e poesie di Giovanni Pascoli.

La nostra memoria ci permette di fare un’altra cosa importantissima. Ricordare quello che non abbiamo vissuto e conservarlo dentro di noi come una bussola che ci mostra la strada, quella da percorrere e quella da evitare, perché l’ha percorsa o evitata tanta gente prima di noi.

Oggi è il 27 gennaio ed è la Giornata della Memoria. Oggi non si celebra il semplice fatto di ricordare ma si ricorda un evento molto molto brutto chiamato Shoah, una parola ebraica che vuol dire “disastro”. Lo scopo di ricordare questo disastro che non abbiamo vissuto direttamente è proprio quello di starne alla larga, possibilmente per sempre.

Quello che si vuole ricordare per non doverlo vivere mai è il genocidio degli ebrei da parte della Germania nazista e dei suoi alleati, di cui noi facevamo tristemente e vergognosamente parte. Genocidio è un concetto orribile: vuol dire far sparire dalla faccia della terra un intero popolo perché qualcuno lo considera inferiore, sbagliato. Quello degli ebrei è cominciato verso il 1933 ed è finito con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la Liberazione.

Gli ebrei - ma anche gli slavi, le persone omosessuali, quelle con disabilità e i ribelli - furono dapprima perseguitati, poi rinchiusi nei ghetti, privati via via di maggiori libertà e poi imprigionati, obbligati ai lavori forzati e uccisi. Quando il 27 gennaio 1945, esattamente 79 anni fa, il campo di concentramento di Auschwitz veniva finalmente liberato, il mondo ha dovuto guardare in faccia cosa succede quando ci si dimentica di essere umani.

Da allora, i sopravvissuti a questo terribile massacro hanno ricordato e raccontato perché anche gli altri potessero ricordare e, ricordando, potessero evitare il peggio. Sono stati creati musei per ricordare - si chiamano, appunto, memoriali - e scritti libri, film, musiche. Con la cultura le persone hanno cercato al tempo stesso di curare i sopravvissuti e vaccinare le nuove generazioni.

Oggi, a Milano e in tutte le città italiane, si svolgono tante manifestazioni per ricordare la Shoah. Con gli anni, le donne e gli uomini che l’hanno vissuta in prima persona sono sempre di meno, sono vecchietti ormai. Finché ci sono loro, cocciuti, forzuti, umanissimi, la nostra memoria è al sicuro. Quando non ci saranno più, dovremo aggrapparci alle loro parole, ai libri, ai film, alla bellezza di quello che hanno saputo creare in tutto questo orrore. Dovremo inventare la memoria.

La Shoah non è stata l’unico genocidio della storia. Ce ne sono stati tanti prima e ce ne sono stati tanti dopo, più o meno vicini a noi, più o meno conosciuti, ma sempre altrettanto inumani, terribili e ingiusti.

Per ricordare gli oltre 6 milioni di ebrei uccisi in Europa, i due terzi degli ebrei che vi vivevano, un numero altissimo di vittime innocenti, bisogna fare tanto spazio nella propria mente e nel proprio cuore. E quando si fa spazio, si fa spazio a tutti e a tutte. Ai genocidi avvenuti in Paesi lontani, a quelli avvenuti tantissimo tempo fa e a quelli di cui non sappiamo niente. Non c’è una poltrona sola nella nostra memoria. Nessuno deve fare a turno. Nessuno deve mettersi in fila. C’è spazio per tutte le vittime dell’ingiustizia nel cuore che si ricorda di rimanere umano.

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