Ambiente

Cosa dice la direttiva Ue contro il greenwashing?

Dopo anni di complesse trattative tra istituzioni e Stati membri, il Parlamento europeo ha approvato nuove regole per contrastare la pubblicità ambientale ingannevole
Credit: Clement percheron
Tempo di lettura 4 min lettura
22 gennaio 2024 Aggiornato alle 15:00

Il Parlamento Europeo ha definitivamente approvato una direttiva volta a contrastare il greenwashing, veicolato da un marketing fuorviante e ambiguo che è stato ampiamente utilizzato per ingannare i consumatori europei. La direttiva ha avuto 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni e si pone l’obiettivo di migliorare il funzionamento del mercato interno in quanto “è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili”, si legge nel testo.

L’iter di questo provvedimento ha richiesto quasi 2 anni di complesse trattative fra le istituzioni europee e gli Stati membri, su come delimitare il quadro legislativo comunitario e migliorare i processi legati alla transizione eco-sostenibile. A tal fine il Parlamento si è concentrato su le diverse tecniche di marketing ingannevole, quali “le pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli (greenwashing), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili”.

Le nuove regole renderanno l’etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco”. Inoltre, costringerà i produttori a prestare maggiore attenzione alla durata dei prodotti, imponendo degli schemi di certificazione ufficiali o stabiliti dalle autorità pubbliche.

«Questa legge cambierà il quotidiano di tutti gli europei! Ci allontaneremo dalla cultura dello scarto, renderemo più trasparente il marketing e combatteremo l’obsolescenza prematura dei beni. Le persone potranno scegliere prodotti più durevoli, riparabili e sostenibili grazie a etichette e pubblicità affidabili. Soprattutto, le aziende non potranno più ingannare le persone dicendo che le bottiglie di plastica sono buone perché l’azienda ha piantato alberi da qualche parte — o dire che qualcosa è sostenibile senza spiegare come. Questa è una grande vittoria per tutti noi!» ha dichiarato la relatrice e parlamentare Biljana Borzan.

Gli Stati membri dell’Unione Europea avranno 2 anni di tempo per introdurre le nuove regole, cercando di contrastare il più possibile l’evoluzione delle varie forme di greenwashing, che negli ultimi anni si sono ampiamente diffuse a causa delle aggressive strategie utilizzate dalle agenzie di marketing e da numerose multinazionali.

Il think tank finanziario no profit Planet Tracker ha identificato 6 tipi insidiosi di greenwashing a cui prestare attenzione nei prossimi anni, come il greenhushing (celare le proprie strategie su sostenibilità e ambiente), il greenshifting (cercare di spostare la colpa verso soggetti esterni), il greenlighting (mettere in risalto un aspetto legato alla sostenibilità), il greenlabelling (autodichiarare caratteristiche ambientali di prodotti o servizi), il greenrinsing (ambia regolarmente i propri obiettivi Esg prima di raggiungerli) o il greencrowding (nascondersi tra una “folla” di altre aziende per tenere nascosti approcci dannosi per l’ambiente o associarsi a enti o associazioni per beneficiarne a livello di immagine).

Ognuna di queste forme fa uso di strategie sofisticate per minimizzare l’impatto ambientale di certi processi produttivi o per aumentare le vendite di prodotti legati a pratiche inquinanti: «In tutto il mondo, i regolatori stanno iniziando ad affrontare il crescente problema del greenwashing. Per affrontare il problema sarà necessario che gli enti che si battono contro il greenwashing stabiliscano un’equivalenza globale nella rendicontazione Esg» ha affermato John Willis, direttore di Planet Tracker.

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