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Greenwashing, come evitarti?

Nell’ultimo report di Planet Tracker, vengono illustrati sei diversi tipi di greenwashing attuati dalle aziende. Ma anche dati che attestano quanto è esteso il fenomeno
Credit: IStock
Tempo di lettura 6 min lettura
26 maggio 2023 Aggiornato alle 19:00

L’emergenza climatica oggi è sentita e diffusa a qualsiasi livello, per questo l’impegno di tutti dovrebbe esser sempre più rivolto ad attivare delle politiche ambientali che premino anche le aziende più attente alla sostenibilità.

Essere ecosostenibili è utile inoltre anche per farsi notare dal consumatore, sempre più consapevole e attento a valutare anche questo nei propri acquisti e nelle proprie scelte.

Ma un’azienda può attuare pratiche sleali e mostrare virtù ecologiche che in realtà non possiede: questo è un fenomeno purtroppo che esiste, che sta diventato sempre più complicato e ha un nome ben preciso: greenwashing. Il rapporto Greenwashing hydra svela qual è la nuova estensione del fenomeno.

Cos’è il greenwashing

Greenwashing generalmente viene tradotto dall’inglese green (verde) e washing (lavare) come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata e indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé falsamente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale. In molti casi questo viene fatto per distogliere l’attenzione dagli effetti negativi sull’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

La sua introduzione viene fatta risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per indicare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria, per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà era solo per motivazioni di tipo economico.

Già negli anni ’60 alcune imprese furono timidamente indotte (ad arte) a darsi un’immagine più “verde”, ma è dagli anni ‘90 che si è intensificato il ricorso alla pratica del greenwashing da parte delle imprese, alimentato dalla crescita dell’attenzione dei consumatori ai temi della tutela dell’ambiente e anche dell’incidenza dell’impatto ambientale sulle decisioni di acquisto o consumo.

Il fenomeno è ormai esploso e proprio la Commissione europea, insieme all’Ipcen-Consumer protection and Enforcement Network, la rete internazionale per la tutela dei consumatori e alle autorità nazionali di tutela dei consumatori, nel 2021 ha condotto sul greenwashing uno studio dove è emerso che il 42% dei siti di vendita online riportava informazioni ambientali ingannevoli e che nel 37% dei casi l’affermazione data al consumatore era vaga e generica, in un altro 59% non c’erano prove a sostegno.

Troppo spesso infatti un prodotto o servizio è definito dall’azienda che lo produce green o “naturale” ma non significa lo sia davvero e questo vale per i prodotti venduti nei negozi o anche online. Sempre più operazioni ingannevoli hanno snaturato il vero intento delle aziende serie che cercano davvero di ridimensionare la propria produzione e vendita in favore della sostenibilità.

All’interno del mercato del consumo negli ultimi anni si sono moltiplicati i messaggi ingannevoli, anche solo nella parte di packaging, molti dei nuovi imballaggi erano di colore verde, cercando far passare questo come garanzia del rispetto dei criteri di sostenibilità.

A livello normativo in Italia nel 2014 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha promosso uno strumento determinante nel contrasto al greenwashing introducendo nel proprio Codice di autodisciplina l’articolo 12 in cui si dice che “comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”.

Il report Greenwashing hydra

Non solo i consumatori ma anche gli investitori devono essere consapevoli del fenomeno del greenwashing da diversi punti di vista. I portafogli Esg sono sottoposti a screening da parte delle autorità di regolamentazione finanziaria che analizzano le aziende per determinare se i clienti vengono ingannati.

Greenwashing hydra è nuovo rapporto, pubblicato Planet Tracker, che mette in guardia contro sei tipi di greenwashing attuati dalle aziende, con attività che vanno da imprecisioni accidentali nel marketing, a pratiche ecologiche che distraggono da dannose politiche ambientali:

- Greencrowding, che si basa sull’idea che nascondersi tra una “folla” di altre aziende può tenere nascosti approcci dannosi per l’ambiente;

- Greenlighting, termine per descrivere come le aziende accendono i riflettori sulle credenziali ecologiche al fine di distogliere l’attenzione dalle attività dannose per l’ambiente;

- Greenshifting, quando le aziende cercano di spostare la colpa verso l’alto o verso il basso lungo la catena del valore, di solito verso i consumatori;

- Greenlabelling, una pratica in cui i dipartimenti di marketing ingannano attraverso le loro pubblicità affermando che un determinato prodotto è sostenibile;

- Greenrinsing, che può verificarsi quando le aziende cambiano regolarmente gli obiettivi climatici e di sostenibilità prima che siano stati raggiunti;

- Greenhushing, il termine si riferisce alle aziende che sottostimano o addirittura nascondono i dati e le prestazioni di sostenibilità per evitare il controllo delle parti interessate.

Come riconoscere il greenwashing

Secondo il World economic forum, il 66% dei consumatori preferisce prodotti ottenuti prestando attenzione al loro impatto ambientale, percentuale che sale al 75% tra i millenials, disposti a pagarlo di più.

Alcune accortezze possono consentire anche al consumatore di riconoscere il greenwashin. Di solito in questi casi viene evidenziata una singola caratteristica ecosostenibile di un prodotto, non specificando nulla sulla produzione nel complesso; non vengono date informazioni sufficienti: si afferma che il prodotto è verde, ma non si spiega esattamente rispetto a cosa; viene usata un’autocertificazione, invece di una certificazione riconosciuta e accreditata, fornita da Enti terzi e imparziali; si utilizzano in abbondanza elementi grafici e comunicativi che richiamano una sostenibilità però inesistente.

Il punto di partenza anche in questo caso è sempre uno: informarsi.

Il consumatore moderno sensibile alle tematiche ambientali, deve porsi tanti interrogativi sull’azienda da cui decide di acquistare. a esempio: nella catena produttiva viene rispettata la sostenibilità ambientale? Come l’azienda smaltisce i rifiuti? Il packaging proposto è biodegradabile? L’azienda si impegna in programmi di compensazione dell’impronta ecologica? Spesso però trovare risposta a tali quesiti non è possibile per mancanza di tempo. Utile allora è affidarsi ai dossier, alle ricerche di esperti e scienziati e alle certificazioni bio ed ecologiche rilasciate dagli Enti più importanti nel campo.

La strada dello sviluppo sostenibile è percorribile in tanti modi.

In una filiera produttiva c’è chi adopera tecnologie “idricamente” efficienti, chi usa carburanti meno impattanti, chi sceglie un imballaggio realizzato con materiali riciclati e riciclabili. Quando tra le informazioni diffuse da un’azienda non si trovano le risposte e non capisce quali siano gli specifici benefici ambientali, allora si ha davanti un palese esempio di greenwashing.

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