Diritti

Medio Oriente: come stanno i diritti delle donne?

Lo Stimson Center ha confrontato le condizioni economiche e socio-politiche delle cittadine di Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Arabia Saudita e Oman: nonostante piccoli progressi, il “sistema del guardiano” è ancora predominante
Credit: cottonbro studio 
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12 febbraio 2024 Aggiornato alle 09:00

A che punto sono i diritti delle donne in Medio Oriente?” può sembrare, istintivamente, una domanda retorica. Appena si pensa ai Paesi che affacciano sul Golfo Persico, l’idea è che le donne siano una categoria di serie B, sotto il controllo dell’autorità maschile, nascoste dietro qualche tipo di velo e sanzionate molto più severamente rispetto agli uomini per reati in cui il solo fatto di essere donna funziona come aggravante.

Ma le distinzioni sul piano economico, politico e dei diritti civili ci sono. Gli Emirati Arabi non sono l’Iran, il Qatar non è l’Arabia Saudita, né l’Oman. E i progressi fatti in uno di questi Paesi sono conquiste che possono fare da modello anche per le realtà limitrofe.

Dalla recente analisi del centro di ricerca americano Stimson Center, che ha condotto uno studio comparato sullo stato dei diritti delle donne in questi 5 Paesi, si è notato come gli Emirati Arabi siano il luogo dove le donne hanno migliori prospettive.

Emirati Arabi Uniti

Nel Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum gli Emirati si posizionano al primo posto tra i Paesi del mondo arabo (in 71° posizione, poco sopra l’Italia che è 79°). Il tasso di alfabetizzazione delle donne emiratine è altissimo (96%) e nelle università il 70% degli studenti laureati sono donne. Le lavoratrici rappresentano quasi la metà della forza lavoro (46%) e il Paese ha la più alta percentuale di rappresentanza parlamentare femminile di tutto il mondo arabo: nel 2019 le donne occupavano la metà dei seggi del Consiglio nazionale federale (organo legislativo formato da 40 membri).

Una stagione di riforme legislative tra il 2015 e il 2021, secondo lo Stimson Center, ha fatto progredire i loro diritti in materia di divorzio, affidamento dei figli e indipendenza economica, ma la discriminazione è ancora la colonna portante del sistema del “guardiano” che sottopone le donne all’autorità di un uomo, in modo simile a quanto avviene in Arabia Saudita e Qatar.

Alcuni esempi di cosa significa vivere sotto il controllo di una figura maschile: per sposarsi una donna ha bisogno del permesso del suo guardiano e una volta sposata rischia di perdere il diritto al mantenimento da parte del marito se rifiuta di avere rapporti sessuali con lui “senza una valida giustificazione” (coem spiegato nel World Report 2023 di Human Rights Watch).

Una delle storie più terribili, finita al centro di un’inchiesta del New Yorker, riguarda l’emiro di Dubai, Mohammed bin Rashid Al Maktoum, e la grave repressione dei diritti delle donne della sua stessa famiglia. La principessa Latifa (come la sorella Shamsa prima di lei) ha provato a scappare nel 2018, ma non ce l’ha fatta. È stata catturata, imprigionata per mesi e il suo tentativo di fuga è stato punito con la tortura.

Iran

Le battaglie per i diritti delle donne iraniane sono al centro del dibattito da quando è scoppiata la protesta del movimento globale “Donna, vita, libertà” contro la morte della giovane Mahsa Amini, punita dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo. Oltre alle rigide leggi che impongono alle donne l’obbligo di indossare l’hijab in pubblico e il monitoraggio oppressivo della “moralità”, le norme sociali richiedono alle donne di mettere davanti la famiglia al lavoro e di rispecchiare la tradizione nei ruoli di genere.

Il ristrettissimo spazio di scelta individuale ha un forte impatto sulla sfera economica: nonostante più della metà delle persone iscritte all’università siano donne, la loro partecipazione al mercato del lavoro si ferma sotto il 16% (stando ai dati della Banca Mondiale del 2022). Sul piano politico, i ruoli di maggior potere sono riservati agli uomini: la Guida suprema è affidata a un ayatollah (un uomo dell’élite religiosa dell’Islam sciita) e tra i presidenti non si è mai vista una donna. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’età legale per il matrimonio è 13 anni.

Arabia Saudita

Da quando il principe Mohammed bin Salman ha introdotto il programma politico Vision 2030 nel 2016, la condizione delle donne ha subito diversi miglioramenti. Quelle che lavorano sono il 30% e hanno preso spazio anche nel settore finanziario, accademico e militare.

Il sistema del guardiano è stato riformato allentando alcune delle rigidissime restrizioni: per una donna è possibile fare liberamente richiesta di passaporto e andare al cinema con i suoi amici. Nonostante questo, il regime è ancora oppressivo nei confronti delle ragazze e delle donne che per la maggior parte delle decisioni devono comunque chiedere il permesso del guardiano (che può essere il padre, il marito, un fratello o un figlio). Nel caso in cui la donna disobbedisca agli ordini, può essere spedita in una cosiddetta “casa di cura” per il suo bene.

Dal 2018 è stato riconosciuto alle donne il diritto di avviare un business in autonomia senza dover chiedere un’autorizzazione maschile. Nello stesso anno risale è stato anche eliminato il divieto di possedere la patente e guidare un’auto grazie alla campagna del movimento Women2Drive.

Qatar

Anche qui la legge del guardiano è molto restrittiva e impone l’autorizzazione di un uomo per il matrimonio, l’accesso all’istruzione superiore, il lavoro nel settore pubblico, i viaggi all’estero fino a 25 anni e anche per ricevere le cure necessarie per la salute riproduttiva.

Sul mercato del lavoro, secondo lo Stimson Center, la posizione femminile è migliorata grazie alle politiche del programma Qatar National Vision 2030 e si è raggiunto il 60% di donne lavoratrici. Alcune hanno ottenuto posizioni apicali in ambito universitario (soprattutto alla Qatar University), informatico e finanziario. Hanadi bint Nasser Al Thani, inserita nella lista delle 100 imprenditrici più potenti di Forbes del 2023, ha fondato la Qatar Ladies Investment Company.

Oman

Il progresso della condizione delle donne dell’Oman è stato costante negli ultimi decenni. L’alfabetizzazione è passata dal 2% negli anni ’70 al 95%. Esattamente come negli Emirati, alla forza lavoro totale del Paese contribuiscono per la metà circa (46%) le donne. Possono ambire anche a ruoli di potere nel settore pubblico e privato: Rawya Saud Al Busaidi è stata la prima donna a essere nominata ministra dell’Educazione superiore.

Il sultano Qaboos bin Said, scomparso a gennaio 2020, ha modernizzato il Paese con un’attenzione particolare ai diritti delle donne: nel 2003 c’è stata la conquista del suffragio universale e un decreto reale del 2008 ha garantito alle donne gli stessi diritti degli uomini per la proprietà dei terreni. Ancora molto “indietro”, invece, le aree rurali, tradizionalmente più conservatrici e con forti barriere culturali ed economiche per le donne.

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