Diritti

Iran: condannate le giornaliste che avevano coperto il caso Mahsa Amini

Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi sono state giudicate colpevoli: entrambe rischiano rispettivamente 12 e 13 anni di reclusione “per aver collaborato con gli Stati Uniti” e “aver agito contro la sicurezza nazionale”
Niloofar Hamedi (sinistra) e Elaheh Mohammadi (destra)
Niloofar Hamedi (sinistra) e Elaheh Mohammadi (destra)
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
23 ottobre 2023 Aggiornato alle 18:00

Da una penna stilografica nera cola qualche goccia di inchiostro. Sul pennino d’acciaio c’è un occhio spalancato, dall’iride bruno rossiccio. Il fusto è avvolto da una catena che lo stringe, attorcigliandosi più e più volte. Questa immagine è comparsa accanto a un articolo pubblicato sul quotidiano indipendente Ham Mihan, che racconta della condanna di una delle sue giornaliste, Elaheh Mohammadi, e della collega di Shargh Niloofar Hamedi: più di un anno fa avevano coperto la morte di Mahsa Amini, avvenuta mentre la 22enne curda si trovava sotto la custodia della polizia iraniana. Ora, un tribunale di Teheran le ha condannate a 12 e 13 anni con l’accusa di collaborazione con il governo degli Stati Uniti e di azione contro la sicurezza nazionale.

Nelle stesse ore, la studentessa liceale iraniana Armita Garawand, entrata in coma all’inizio di ottobre, si troverebbe “in stato di morte cerebrale”. Lo ha riferito l’agenzia Borna, legata al ministero della gioventù e dello sport, che ha definito il suo stato di salute “non incoraggiante”, “nonostante gli sforzi dei medici”. La ragazza, di soli 16 anni, si trova all’ospedale Fajr di Teheran dal 1° ottobre, ma non sono ancora chiare le cause del ricovero: secondo le autorità sarebbe semplicemente svenuta in metropolitana, mentre i gruppi per i diritti umani accusano la polizia morale iraniana di averla aggredita perché non indossava il velo.

Ora che la storia (secondo le ipotesi degli attivisti) si ripete, con un altro “caso Amini”, un tribunale di Teheran si è espresso sulla sorte delle 2 giornaliste che per prime avevano coperto la morte della ragazza curda.

La sentenza è arrivata ieri, 22 ottobre, nel giorno del compleanno di Hamedi. Lo ha scritto su Twitter suo marito, Mohamad Hosein. Il sito web ufficiale delle notizie della magistratura iraniana, IRNA, ha spiegato che la giornalista iraniana “ha ricevuto una condanna a 7 anni di reclusione per aver collaborato con l’amministrazione ostile degli Stati Uniti. Il verdetto prevede 5 anni di carcere per cospirazione e collusione per aver commesso crimini contro la sicurezza nazionale e 1 anno di prigione per propaganda contro il Paese”. Per un totale di 13 anni. Anche Mohammadi è stata condannata per gli stessi capi d’accusa, ma la sentenza prevede 12 anni di carcere, uno in meno rispetto alla collega.

Hamedi è stata arrestata il 20 settembre, dopo essersi recata nell’ospedale in cui Mahsa Amini aveva trascorso 3 giorni in coma prima della sua morte. È stata una delle prime a recarsi nella struttura, quel giorno, e la prima ad aver pubblicato la foto della 22enne curda sul letto d’ospedale. Mohammadi, invece, è stata presa in custodia il 29 settembre dopo aver raggiunto Saqez, città natale di Amini, nella provincia del Kurdistan, dove si è svolta la cerimonia funebre di Amini, morta il 16 settembre 2022.

Nessuna delle due potrà prendere parte a “partiti, gruppi e fazioni politiche, nonché delle attività nel cyberspazio, dei media e dei giornali per 2 anni come punizione supplementare ai sensi di tre articoli del Codice penale islamico del 2013”. Le sentenze “possono essere riviste in appello”, specifica IRNA, e “i periodi di permanenza” già trascorsi “nei centri di detenzione saranno calcolati per ridurre le loro pene detentive”.

Secondo gli avvocati delle 2 giornaliste, “in base agli articoli 242 e 244 del codice di procedura penale, dovrebbero essere rilasciate su cauzione fino all’emissione del verdetto finale, ma questa procedura legale non si applica a loro”, riporta il quotidiano Ham Mihan. Secondo gli avvocati e le loro famiglie, il caso verrà esaminato dalla Corte d’appello.

Il verdetto del tribunale di Teheran “è stato emesso 396 giorni dopo l’arresto di Hamedi”, 389 giorni dopo quello di Mohammadi “e 89 giorni dopo la loro ultima difesa in tribunale”, sottolinea Shargh, il quotidiano per cui lavora Nilooofar Hamedi. In tutto questo tempo, le 2 donne sono state trattenute in “detenzione temporanea” nella prigione di Evin, la stessa dove è stata reclusa la blogger italiana Alessia Piperno lo scorso anno. Secondo il censimento carcerario del 2022 realizzato dal Comittee to Protect Journalist, l’Iran è il peggior detentore di giornalisti al mondo: complessivamente, sarebbero almeno 95 i professionisti dell’informazione dietro le sbarre in seguito alle proteste a livello nazionale dopo la morte di Amini, quando è nato il movimento “Donna, vita, libertà”.

Prima che venisse emesso il verdetto, più di 200 giornalistə e scrittorə iranianə avevano chiesto il rilascio delle 2 giornaliste incarcerate. In una lettera aperta pubblicata da Shargh hanno sottolineato che la loro continua detenzione temporanea” dopo un anno “è ingiustificabile”: “Insistiamo sul fatto di non consentire azioni arbitrarie, extragiudiziali e incostituzionali per fornire un terreno adeguato ai nemici del popolo, e chiediamo la libertà di Elahe Mohammadi e Niloofar Hamedi”. Le loro richieste sono rimaste inascoltate.

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